Approvazione delle unioni civili. Le emozioni e le riflessioni degli scrittori, dei giornalisti e politici italiani
A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
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Grafica di Giovanni Trapani
“Ero alla Coop del mio quartiere,, mentre alla Camera erano alle prese
con la votazione finale. Ho seguito l'iter parlamentare, ma non me la sono
sentita di assistere anche a quest'ultimo atto. Per tutto questo tempo ho,
infatti, cercato di mantenere una certa distanza tra la mia vita e le loro
discussioni. A un certo punto ho cominciato a ricevere un sacco di messaggi
dagli amici, e ho, così, capito che ce l'avevamo fatta. Sono rimasto per un po'
come sospeso in aria: da una parte ero certamente felice – 20 anni di mio
impegno civile trovavano finalmente un esito positivo, seppur non ottimale;
dall'altra parte mi è montata una sorta di stanchezza, di frustrazione, anche
di collera, per tutti gli sforzi che abbiamo dovuto sostenere, e per tutte le
brutte cose che abbiamo dovuto sentire, al fine di arrivare a questo risultato.
Sono rimasto a metà. Alla fine ho cristallizzato questo pensiero: “Come
insegnano 50 anni di movimento di liberazione, ricordare sempre che sia la
rabbia sia la gioia, se vissute in pienezza da parte delle minoranze, sono
ugualmente rivoluzionarie.” Guardo ora al futuro. A Francesco con cui posso
finalmente unirmi civilmente anche in Italia (siamo già sposati in Canada).
Agli anni che mi aspettano – che, come ho imparato sulla mia pelle di recente,
potranno essere anche di malattia e di bisogno. E ho maggior fiducia in questo
Paese.” Mi racconta il sociologo Raffaele Lelleri, attualmente alle prese con l’indagine ConHIVere, quando gli chiedo come ha
appreso la notizia che ci informava che, finalmente, anche in Italia abbiamo
una legge che riconosce le unioni civili.”
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Una legge che per molti non è ottimale, ma che
per tanti altri è vista come un passo in avanti. Un passo importante per una
società come la nostra in cui, al solo pensiero di riconoscere le unioni fra
persone dello stesso sesso, si ipotizzano teorie fantasiose, frutto di un’omofobia
interiorizzata, che ponderazioni sensate.
“Sono felice che sia stato fatto un passo
avanti affinché l’Italia non debba essere considerata, rispetto a tanti altri
paesi, un luogo dove i doveri sono per tutti, ma non lo stesso si possa dire
dei diritti. Certo non bisogna adagiarsi, e ci sono ancora molte faccende per
cui discutere e se necessario lottare. Siamo lontani dalla necessaria
consapevolezza, nei cittadini tutti ma ancora di più nelle istituzioni, che le
persone debbano essere considerate in quanto tali, e non per le loro preferenze
sessuali o per qualcosa che nulla ha a che fare con la pura dignità umana.
Nessuno si è mai sognato nemmeno lontanamente di fare un interrogatorio a chi
si sposa o a chi decide di fare un figlio, sondandone le capacità o le reali
intenzioni, per dare poi il benestare alla relativa attuazione. E questo
sebbene sia chiaro quanto ciò a volte sarebbe (stato) auspicabile se non
necessario. Si dà per scontato che il libero arbitrio possa anzi debba essere
messo in discussione solo nel momento in cui dà segni di poter danneggiare o
limitare il benessere e la libertà altrui. Ecco, ciò purtroppo non accade
affatto nel nostro paese. Troppo spesso chi non è allineato a pochi,
superficiali, discutibili principi (assolutamente estranei alla nostra
Costituzione) viene automaticamente messo sotto la lente d’ingrandimento,
costretto alle imposizioni di giudizi altrui, famigeratamente insindacabili.
Sembra quasi che di queste persone si metta in dubbio l’intelligenza, o ci si
senta autorizzati a valutarne l’umanità, la personalità. Ecco, non è così.
Forse vi giunge nuovo, ma ogni singolo individuo, nel bene e nel male, può
decidere della propria vita, e un paese democratico deve garantire a tutti,
indistintamente, questo potere. Nella misura in cui non si vada a danneggiare o
a limitare la libertà e il benessere altrui, ciò deve essere valido per tutti.
O meglio, mi auguro che lo sarà, sempre di più.” Mi dice, invece, lo
scrittore Roberto Fustini.
Ha ragione nel dire che non bisogna adagiarsi su
questa legge, perché la strada per un riconoscimento pieno è ancora lunga e
piena di insidie. Non a caso due secondi dopo l’approvazione alla camera, le
destre, tutte, hanno invocato al referendum abrogativo, costruendo un comitato
al fine di realizzarlo in tempi brevi, con l’intento di rimandare al mittente, a
Matteo Renzi, una legge che va
contro la loro visione della vita, nonostante abbiano gay fra gli amici più
carissimi.
“L'Italia, fanalino di coda in Europa, ha approvato a colpi di
maggioranza bulgara , la legge sulle unioni civili. È evidente che il nostro
paese è carente in tema di diritti. Questo
è dimostrato dal fatto che alcuni conservatori vogliano abrogarla con un referendum.
Questo dimostra quanto questo paese sia arretrato culturalmente. Un paese di
vecchi politici che non sanno guardare al futuro e non sanno nemmeno avere
tesoro di quanto accaduto nel passato. Ricordo solo la legge sul divorzio
quanto fu contestata e osteggiata, specie nella quotidianità, additando sulla
pubblica via uomini e donne che commisero il peccato di sciogliere ciò che dio
aveva unito. Oggi è la stessa classe politica che si ispira al centro destra e
pluridivorziata, attacca la legge sulle unioni. La storia darà ragione ai
sostenitori dei diritti, di quei diritti ora non più negati, ma resi patrimonio
di tutti. Guardiamo agli altri paesi europei, non per imitarli o copiarli, ma
per generare quel qualcosa in più che ci possa rendere unici, generatori di una
umanità che sia figlia degli ideali che ci ispirarono al pensiero, prima, e la
materializzazione, poi ,dell'Europa unita. Oggi si scrive una pagina nuova nel
grande libro della Costituzione, compito nostro è di migliorare la legge sino al
matrimonio egualitario. La prima battaglia l'abbiamo vinta, ora avanti tutti
per vincere la guerra.” Mi racconta, invece,
lo scrittore e giornalista Sergio Rozzi.
Già, l’Italia è veramente fanalino di coda in
questioni di diritti, basti pensare alla legge contro l’omofobia che è stata
accantonata e che ancora nessuno ha intenzione di riprendere in mano, nonostante le
aggressioni siano in aumento settimana dopo settimana.
Non c’è la voglia di andare avanti, di un
cambiamento che renda all’Italia quella dignità e maestosità che fino a cento
anni fa aveva. Ora la si continua a umiliare plasmando un modello, quello
fascista, che ha fatto più male che bene, ma che sia la politica sia le persone
comuni continua a guardare con nostalgia, forse, non capendone il danno reale
che ha recato al Paese.
“Quel che penso della legge sulle unioni civili è il pensiero di
tanti. Si tratta di una legge fortemente
discriminatoria. Ed è proprio quella che
ci meritiamo. L'Italia è un paese ancora troppo retrogrado, bigotto, ignorante
per essere in grado di varare una legge "giusta" su certi argomenti,
a dimostrarlo bastano tutti quei politici - troppi anche loro - che
rappresentano quella parte di paese. Detto ciò, resta comunque un passo
importante nella conquista per l'uguaglianza e perciò è una battaglia vinta. Ma
la guerra ancora no...” Afferma lo
sceneggiatore della web serie ‘Lista dinozze”, Francesco Calella.
Ora , dunque, bisogna guardare al presente e al
futuro, e benché questa legge sulle unioni civili non è quella che ci si
aspettava, è un qualcosa a cui bisogna guardare con fiducia, come a un incentivo.
Un modo per sperare che le cose cambino davvero, senza aspettare altri trent’anni.
“Sono felice. Mi sento alleggerito. E credo di parlare a nome di tutti
quelli che, come me, non hanno mai smesso di crederci. È il primo passo verso
la civilizzazione e verso la consapevolezza che l’Italia stia finalmente
uscendo da quella foschia medievale che tanto non ci permetteva di vivere come
si deve. È il primo passo, ripeto, non il traguardo - per quello c’è bisogno di
alte lotte e per quelle lotte, si è sempre pronti a mettersi in discussione.” Mi dice lo scrittore e attivista
Vincenzo Restivo, e anche il suo collega
Christian G. Moretti è dello stesso
avviso: “Undici maggio 2016, una data da
annotare, da ricordare, da scolpire nella mente di ogni italiano, una data in
cui si è deciso di dire basta all’attesa, al sopruso del tempo e alla discriminazione
di tradizioni anacroniste. Una data in cui, dopo tanti anni all’estero, mi sono
sentito con il cuore in Italia. Seduto sulla mia poltrona, sorseggiando il mio
tè verde e con le mie due cagnoline, Pixie e Coco, sulle ginocchia, ho seguito
la discussione del voto finale. A volte mi sono arrabbiato, altre mi sono
commosso, altre mi sono fermato a riflettere. È vero, è una legge mutila, una
legge che non rivendica il 100% che tutti vorremmo e che non sancisce un
traguardo ma un punto d’inizio; ma è proprio questo quello che importa, in
Italia, dopo trent’anni, abbiamo finalmente un punto da dove cominciare, una
base su cui ergere le battaglie future, un’ancora alla quale aggrapparci e non
è poco. È vero, si poteva fare molto di più, molto meglio ma non festeggiare
significherebbe unirsi a tutti coloro che si sono astenuti dal votare o che
hanno votato contro questa legge e, io, proprio non me la sento di dargliela
vinta a chi tira in ballo, in maniera deplorevole, la filosofia per
giustificare le sue tendenze radicalmente omofobe. Ora però abbiamo un pilastro
sotto di noi, non vi è più il vuoto, e questo pilastro non potrà togliercelo
più nessuno. L’Italia ha vendicato tutti coloro che nei secoli non hanno mai
avuto questa possibilità, tutti quei suoi figli che sono nati, cresciuti e
morti nella menzogna e nella minoranza, i cieli italiani si sono riempiti di
urla di gioia, di grida di liberazione che, da secoli, erano sepolti nel fango
e nella pece nera di un peccato che ci è stato affibbiato senza se e senza ma.
Queste urla sono più forti della discriminazione e dell’offesa. Abbiamo,
dunque, il dovere di festeggiare questa vittoria, glielo dobbiamo a tutti i
nostri fratelli e sorelle che non hanno potuto vivere questo momento; non farlo
significherebbe dare uno schiaffo alle loro vite.”
“È un po’
difficile definire come mi sono sentito io dinanzi a questa notizia, e anche
come ci siamo sentiti entrambi, io e il mio compagno, proprio per la portata di
un evento del genere. Direi di sicuro frastornato e incredulo, per quanto mi
riguarda, per il semplice motivo che dopo tanti anni di lotte e speranze
disattese, avere un riscontro tangibile ha fatto sicuramente un effetto strano.
Una
vittoria, un pizzico di gioia da commisurare comunque a quanto ancora manca per
un pieno riconoscimento delle nostre coppie e delle famiglie esistenti. Un
primo pensiero infatti è comunque andato ai bambini che, ancora oggi, sono
stati lesi del diritto di avere due genitori ufficialmente riconosciuti come
tali, e come sarebbe dovuto essere.
Poi sì,
gioia e voglia di fare un po’ di festa, ma in intimità: questa legge, per me e
per chi amo, è un primo passo verso un viaggio che deve per forza condurre al
riconoscimento pieno di quello che siamo. Due uomini che si amano e che hanno
il diritto non solo di sentirsi famiglia, ma di esserlo agli effetti della
legge.” Mi dice, invece, lo scrittore Francesco Mastinu, comprendendone l’incredulità
avuta lo scorso 11 maggio.
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Quando aspetti per tanto tempo una bella
notizia, una volta che arriva ha né sapore né odore, e ti ci vuole del tempo per assaporarne
l’importanza. Ma adesso quella notizia è un dato di fatto, almeno per ora, e
quindi ora è tempo di festeggiare. Si, lo
dobbiamo fare, è giusto, anche se dentro rimane una certa amarezza per tutto quello fatto e detto dalla politica.
“Finalmente
anche in Italia abbiamo fatto un passo avanti nei diritti civili, passo che
comunque ci fa essere sempre il fanalino di coda tra i paesi più progrediti.
Ecco perché, quella che su carta è una bella notizia, non mi fa gioire come
vorrei. Perché? Perché le coppie omosessuali adesso sono marchiate come tali...
esisteranno coppie gay e coppie etero. Per me non è giusto.
E a tutti
quei bambin* di famiglie arcobaleno che rimangono tutt'oggi senza diritti?
Nessuno ci pensa?
Ma, un
passo è comunque stato fatto, accontentiamoci, gioiamo e continuiamo a lottare
per i nostri diritti puntando al matrimonio egualitario. Continuiamo a lottare,
e a giugno scendiamo in strada partecipando ai vari gaypride.” Mi dice
il consigliere comunale Flavio Tani
e con le sue parole la voglia di lottare si accende e quest’anno scendere in
piazza per dimostrare che non ci siamo accontentati è più importante che mai.
Accantoniamo le scuse e andiamo a dire alla politica che il suo compito non è
finito, ma è solo all’inizio. Lo dobbiamo a noi, a chi ci ha preceduto e a chi verrà dopo di noi.
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