Racconti di vita... gay: Massi



Prefazione: Paolo Vanacore
Copertina di e con Giovanni Trapani
Casa Editrice: Tempesta editore
Prezzo: 15,00 Euro



Prologo
Questa settimana vi presento la storia di Massi, un ragazzo lombardo che ha deciso di raccontare la sua esperienza e che sono certo  vi potrà scuotere non poco. Sono, pertanto, curioso di leggere le vostre opinioni, ma anche le risposte di Massi.

 Prima di lasciarvi alla storia di oggi, permettetemi di dedicare un saluto ad un ragazzo di soli tredicianni, Asher Brown, che stanco per gli atti di bullismo omofobo che riceveva quotidianamente a scuola, ha preferito uccidersi giovedì scorso. Oggi è per me un giorno triste.

Francesco Sansone

Se anche tu vuoi condivide la tua storia, mandala via e-mail a raccontidivitagay@hotmail.it e così potrai leggerla su il mio mondo espanso e far confrontare chi legge e perché no, confrontarti tu in prima persona.

Racconti di vita... gay

Locandna realizzata da Giovanni Trapani.
Tutti i diritti riservati

Massi

   Sono nato in un paesino di 2000 abitanti nella campagna lombarda. Quando i miei genitori, figli di contadini, si sono sposati, mia mamma era ancora minorenne e mio papà aveva solo qualche anno in più. Sono andati a vivere assieme ai miei nonni dove tutt’ora vivo anch’io con i miei fratelli. La mia famiglia, che vive da generazioni nello stesso paese, dove siamo quasi tutti parenti, è sempre stata profondamente religiosa e poco istruita. Mia mamma, che ha sempre fatto la casalinga, ha la licenza media e mio papà il diploma di scuola superiore, preso alle scuole serali.
   Ho 28 anni e fino a 23 non ho mai avuto una fidanzata. Ho sempre vissuto per lo studio, per la mia famiglia e sono sempre stato attivo in parrocchia.
   Mentre i miei compagni andavano in discoteca ed erano pieni di ragazze, io passavo i miei pomeriggi a casa a studiare o all’oratorio. Le mie poche amiche erano tutte femmine.
   Guardavo le telenovelas brasiliane e messicane e leggevo “Il rosso e il nero”, “La certosa di Parma”, “Guerra e pace”, “Anna Karenina” e mi appassionavo alle vicende delle eroine romantiche. Mi chiedevo quando sarebbe giunto per me il grande amore. Come una fanciulla dell’Ottocento sognavo di sposarmi ed avere dei figli.
   Ricordo di essermi innamorato per la prima volta a 18 anni, di una ragazza egiziana che aveva un anno meno di me. Era alta ed aveva gli occhi verde acqua. Ogni tanto ci incontravamo all’intervallo e parlavamo, l’aspettavo all’uscita per fare la strada con lei. Credo di non averle mai sfiorato neppure la mano. Si ritirò da scuola alcuni mesi prima della fine della scuola. Per me fu un duro colpo; non avevo mai trovato il coraggio di confessarle i miei sentimenti. Pregavo ogni giorno perché tornasse, perché la incontrassi anche per caso, ma non la rividi mai più.
   Mi diplomai brillantemente, mi iscrissi all’università, ma pensavo sempre a lei. Dopo un anno dall’ultima volta che l’avevo vista le scrissi una lettera per riallacciare i rapporti, pur non confessandole i miei sentimenti. Pregavo ogni giorno perché rispondesse, ma lei non rispose mai.
   Passò un altro anno. Imparai ad usare internet e su un forum conobbi una ragazza del Centro Italia che aveva molto in comune con me; sensibile ed appassionata, guardava le mie stesse telenovelas. Continuammo per 2 anni e mezzo a scriverci. La pensavo spesso ed ero in ansia se non rispondeva alle mie lettere. Quando ci incontrammo di persona, poco dopo la mia laurea, non scattò nulla. Non ci piacevamo.
   Un anno dopo conobbi, tramite un’amica comune, colei che divenne la mia fidanzata, Angelica. A 23 anni baciai per la prima volta una ragazza; finalmente avevo una fidanzata da presentare ad amici e parenti. Il sogno della mia vita si stava realizzando. Dal punto di vista fisico mi piaceva molto, ma, essendo cattolici osservanti, avevamo deciso di restare vergini fino al matrimonio.
   Essendo io giovane non ero comunque del tutto privo di vita sessuale. Mi masturbavo quasi tutti i giorni e, quando Angelica aveva casa libera, lo facevamo insieme e lei me lo succhiava. A me piaceva molto e lo facevamo per ore.
   Quando ero con lei raggiungevo il massimo del piacere, ma quando lo facevo da solo pensavo ai ragazzi, a quelli che vedevo al parco a prendere il sole, ai muratori che costruivano le case ecc.
   L’ho sempre fatto. Non mi sono mai posto il problema, non credevo che fosse una cosa grave. Qualche volta credevo di farlo per abitudine, perché fino a 23 anni non avevo mai toccato il corpo nudo di una ragazza, ma ora che l’avevo fatto queste fantasie non cessavano.
   Per me il mondo omosessuale non esisteva, non l’avevo mai preso in considerazione. Non conoscevo nessun omosessuale e il pensiero di esserlo non mi sfiorava minimamente.
   C’è stato chi mi ha detto che ero gay. Ero convinto che lo dicessero solo perché ho una voce acuta e lineamenti sottili. Mi hanno sempre dato meno anni di quelli che ho. Tutt’ora a 28 anni me ne danno 20 o anche meno.

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   Un giorno, per curiosità, decisi di rivelare su un blog le mie fantasie con i ragazzi, nonostante fossi fidanzato con una ragazza. Avevo 25 anni e mi si aprì un mondo sino ad allora sconosciuto. Leggevo di locali gay, gente che cercava sesso per una sola notte, che cambiava partner in continuazione, di attivi e passivi. Ne rimasi scandalizzato.
   Molti risposero alle mie confessioni. Mi dissero che ero un omosessuale represso; alcuni mi consigliarono di provare. Per me il sesso senza amore non esisteva, non potevo concepire una cosa del genere. Era squallido, inoltre avrei tradito la mia fidanzata, il sogno della mia vita, a lungo vagheggiato.
   Inoltre non potevo essere omosessuale. In vita mia mi ero sempre e solo innamorato di ragazze, pur provando attrazione per i ragazzi. Ho sempre sognato una famiglia con moglie e figli. La sola idea di non aver figli e di stare con un uomo per tutta la vita mi faceva schifo. Un uomo sopra i 40 anni non mi è mai piaciuto, inoltre quest’idea di famiglia mi aberrava oltre al fatto che sono sempre stato contrario a matrimoni ed adozioni gay.
   Tergiversai per un anno finché a 26 anni, nel luglio del 2008, per curiosità, decisi di incontrare un ragazzo, particolarmente insistente. Pensavo che volesse solo parlare, anche se non ne ero sicuro.
   Stefano aveva 35 anni, fidanzato con una ragazza. Mi volle incontrare in macchina. A me sembrava squallido; preferivo un bar. Mi chiese di portarlo in una strada isolata. Lo portai in una strada di campagna, dove iniziò a massaggiarmi le cosce e il membro. Nel frattempo mi leccava il collo e le orecchie. Ero molto eccitato e non mi opposi. Mi slacciò i pantaloni e lasciai che mi masturbasse.
   Iniziai anch’io a toccarglielo, gli slacciai i pantaloni e glielo tirai fuori: era grosso e lungo almeno 22 o 23 cm. Mi prese la testa e mi chiese di succhiarglielo. Lo feci per molto tempo, poi gli chiesi di farlo a me, ma lui si rifiutò. Ci rimasi un po’ male, ma continuammo a masturbarci a vicenda. Poco dopo io venni e lui no. Glielo succhiai di nuovo, ma alla fine non venne.
   Quando tornai a casa non provai assolutamente nulla. Credevo che mi sarei sentito un verme per aver tradito la mia fidanzata e per aver commesso un atto impuro contro natura, ma non sentivo nulla. Era stato un gesto meccanico, praticamente uguale ad una mia normalissima masturbazione. Il giorno dopo mi confessai in Duomo a Milano perché non volevo incontrare un prete che mi conoscesse. Ero imbarazzato, ma il sacerdote fu molto comprensivo. Mi disse semplicemente di non commettere più questo peccato. Ero io più preoccupato che sarei finito all’inferno, ma mi rincuorò.
   Ciò che mi fece più male è che Stefano non mi scrisse nulla, non si fece sentire se non una volta che lo contattai su msn, ma mi chiese di cancellarlo dai miei contatti perché non voleva che la sua fidanzata scoprisse ciò che avevamo fatto.
   Era estate e, come spesso mi accade, soprattutto in ufficio, dove mi connetto di frequente a internet, mi annoiavo. La noia mi porta spesso a liberare le mie fantasie sessuali. Tre settimane dopo Stefano, conobbi Sergio in chat. Aveva 21 anni, mi disse che era la prima volta in assoluto che stava con un ragazzo e non era neppure stato con una ragazza. Mi piaceva perché, a differenza d Stefano, non parlava per monosillabi; facevamo lunghe conversazioni in chat. Quando ci incontrammo andammo prima a prendere un drink in un locale, poi ci dirigemmo verso lo stesso posto dove avevo incontrato Stefano. Iniziai io dato che lui non aveva esperienza. Gli massaggiai le cosce e il membro, lo masturbai, mentre gli allungai le mani verso il mio, che era sempre più duro. Lasciai che lo maneggiasse a suo piacimento, poi mi avvicinai a lui, gli leccai i capezzoli e il torace e gli presi in bocca il membro. Eiaculò nel giro di poco e bevvi tutto il suo sperma. Si avvicinò al mio e fece lo stesso: anch’io venni nella sua bocca e continuammo a masturbarci finché lo baciai sulla bocca.
   Ero stato veramente bene con lui quella sera. Tornai a casa felice, non vedevo l’ora di rivederlo. Fu per me difficile prendere sonno perché continuavo a pensare a lui, pensavo di dormire tra le sue braccia. Mi eccitava l’idea di un amico complice con cui fare sesso e parlare liberamente della mia complicata sessualità.

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   Io e Sergio ci sentimmo ancora in chat per lunghe ore finché, due giorni dopo, partii per le vacanze con la mia famiglia e la mia ragazza. In quei giorni litigammo spesso e per un momento ebbi il pensiero di lasciarla. Per un istante pensai di farlo per Sergio. Sergio però rispondeva a stento ai miei sms e non rispondeva proprio quando lo chiamavo.
   Al mio ritorno a casa mi chiese di incontrarci, ma poi annullò quell’appuntamento e quello successivo. In chat si connetteva di rado ed io stavo sempre più male.
   Mi resi conto che provavo dei sentimenti per una persona che non li ricambiava o che forse aveva paura di affrontare ciò che stava nascendo tra noi.
   Interpretai il tutto come un segno di Dio che voleva indicarmi la retta via. La mia vocazione era il matrimonio e decisi di chiedere alla mia fidanzata di sposarmi.
   Angelica era una ragazza immatura ed incline alle scenate. Era gelosa, oppressiva ed estremamente insicura. Quando le regalai l’anello di fidanzamento non si mostrò felice; era più che mai insicura e turbata. Mi chiese una pausa di riflessione.
   Frattanto non cercavo nessuno. Io non cercavo mai nessuno, aspettavo solo che qualcuno si facesse vivo. Mi contattò Domenico, di 37 anni, dichiaratamente omosessuale. Lo feci attendere un mese e mezzo e alla fine lo incontrai. Mi riempì la testa delle sue idee omosessuali, della lotta per il matrimonio gay, della necessità di scoprire la propria identità sessuale, cose di cui non me ne è mai fregato nulla.
   Mi portò in camera sua, mi spogliò, me lo succhiò, ma io non ebbi il coraggio di fare nulla con il suo corpo. Non mi piaceva, aveva le maniglie dell’amore, inoltre aveva un membro piccolo e scuro. Finii il tutto masturbandomi.
   Decisi di non incontrare nessun gay convinto perché preferivo evitare discussioni imbarazzanti. Preferivo quelli come me dalla sessualità incerta, che non vogliono sapere e capire da che parte stanno.
   Pochi giorni dopo Sergio si rifece vivo e mi contattò su Facebook. Lo perdonai subito, ma non ero più sicuro di incontrarlo. Angelica ripeteva che non era certa del nostro rapporto ed aveva dei dubbi su di noi. Interpretai la crisi come un castigo di Dio per le mie malefatte. Cancellai il mio profilo nell’unica chat a cui ero iscritto. Angelica mi lasciò alla fine di gennaio del 2009 per poi rimettersi con me, su mia insistenza, a marzo.
   In un periodo di calma con Angelica trovai il coraggio di incontrare Sergio a luglio 2009.

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   Io e Sergio parlammo delle nostre vite ad un pub e, quando mi chiese di recarci in un posto isolato, feci resistenza, ma poi cedetti. Ci spogliammo completamente e ci masturbammo oltre a lasciarci andare a toccatine, sesso orale… Non sentii più però ciò che provavo un anno prima. Era un corpo come gli altri, destinato a darmi piacere.
   Angelica decise di lasciarmi a settembre 2009. Avevo 27 anni e sprofondai nella tristezza più nera.
   Diceva che non era fatta per il matrimonio, che non sapeva cosa provava per me ed io per lei. Nutriva dei dubbi sul mio conto, acuiti dal fatto che un suo amico omosessuale le aveva detto che, secondo lui, io ero omosessuale. A parte il fatto che costui mi conosceva solo di vista, in base a cosa poteva affermare ciò? In base al mio modo di vestirmi, muovermi, alla mia voce? Bah! Le ripetei fino allo sfinimento e per mesi che ciò non era vero, che sono eterosessuale e che gli omosessuali mi fanno schifo. Vedo il mio futuro solo con moglie e figli, che per me non c’è nulla di più deleterio per la società del matrimonio e dell’adozione ai gay. Io sono cattolico e politicamente di estrema destra e sono contrario a queste cose.
   Nella mia depressione provai ancora più ribrezzo per il mondo omosessuale. Avevo avuto ancora una volta la conferma che Dio mi aveva punito. Rifiutai tutti i contatti anche con Sergio. Mi promisi di non incontrarlo più.
   Su internet a gennaio 2010 conobbi Beatrice. La incontrai dopo 2 giorni, ci piacemmo e fidanzammo immediatamente. Continuavo a pensare ad Angelica, ma sapevo che non avrebbe avuto senso continuare a pensarla. Il mio amore per lei non aveva futuro. Dio mi aveva dato un’altra opportunità per realizzare il sogno della mia vita, il matrimonio, e mi aveva posto al fianco una ragazza meravigliosa. Non potevo rifiutarla. Accettai il suo amore e lo ricambiai. A differenza di Angelica, Beatrice era una moglie perfetta: sicura, precisa, ordinata, diligente, ottima cuoca e piaceva moltissimo alla mia famiglia.
   Sergio mi ricontattò di nuovo. Questa volta non rifiutai. Lo incontrai, fui io a chiedergli di appartarci subito per avere più tempo a disposizione. Ancora una volta ci spogliammo completamente, ci baciammo, ci infilammo le mani lungo il petto, strizzandoci i capezzoli e massaggiandoci il torace sino a giungere ai nostri membri, sempre più duri ed eccitati. Per godere di più ci infilammo due dita nell’ano e ci succhiavamo reciprocamente, fermandoci quando stavamo per venire per prolungare il piacere. Passammo una serata di fuoco. Era il mio modo per festeggiare il periodo di felicità che si apriva nella mia vita. Forse il mio cervello ragiona al contrario: quando sono sentimentalmente impegnato e felice sento l’esigenza di un uomo, quasi per completarmi; quando, invece, sono depresso e solo rifiuto questo aspetto della mia sessualità perché lo vedo come un’impurità a cui segue un castigo.
   Dopo quattro mesi di fidanzamento, Beatrice iniziò a parlare di matrimonio. Ero al settimo cielo. Il mio sogno si stava per realizzare: in quattro mesi riuscivo ad ottenere ciò che Angelica in quattro anni non aveva voluto.
   Per festeggiare, dopo un anno e mezzo di assenza, mi riscrissi in chat. Conobbi Santo, bisessuale 32enne, che mi invitò a casa sua. Ci spogliammo, passammo mezz’ora a baciarci e a succhiarcelo. Fu dolce anche se non mi piaceva fisicamente come Sergio. Speravo di rivederlo, ma non si fece più sentire. Restai deluso perché speravo di diventare suo amico ed instaurare un rapporto duraturo di complicità e sesso, cosa che ho sempre sognato.
   Mi contattò allora 2 settimane dopo un altro ragazzo, che disse di avere 28 anni ed essere bisessuale e passivo. Non seppi mai il suo nome. Andai a casa sua, ha fretta, mi fece spogliare velocemente. Si mise un profilattico, il primo che vidi in vita mia. Mi chiese di succhiarglielo salendogli sopra, poi inginocchiandomi, infine mi spruzzò in faccia. Andò in bagno a lavarsi. Tornò e mi chiese di rivestirmi. Gli domandai di succhiarmelo, di masturbarmi o di leccarmi un po’, ma si rifiutò. Mi disse che, se volevo, lo potevo fare in bagno. Meno male che era attivo… Me ne andai schifato. L’eccitazione mi scemò subito. Sentivo l’odore della plastica in bocca. Giurai a me stesso che mai più avrei incontrato un ragazzo. Ringrazio Dio di questa esperienza negativa. Lo ringrazio per avermi aperto gli occhi sullo schifo e la corruzione che mi ha dominato fino ad allora.
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   Qualche contatto via mail e i miei rifiuti ad altri incontri. Confessai per l’ultima volta questo peccato. Sperimentai l’infinito perdono di Dio e vidi tanta luce nella mia vita. Mi cancellai dalla chat.
   Fervono i preparativi per il mio matrimonio. Io e Beatrice prendiamo contatti col parroco, fissiamo la data, troviamo la casa e la location per il ricevimento.
   Sergio si rifece sentire su facebook. Gli comunicai che stavo per sposarmi e gli dissi che non voglio mai più incontrarlo. L’idea di un amico bisessuale complice che, tra alterne vicende e rifiuti miei e suoi, avevo tentato di realizzare con Sergio, sfuma per sempre, non mi interessa più.
   Tra nove mesi mi sposo e sono convinto della mia scelta. Nella mia vita voglio solo mia moglie, tutto il resto sono stati incidenti di percorso.
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Un nuovo mondo - Venticinquesima Puntata

Nelle puntate precedenti
   Dopo essere rientrati dalle vacanze Fabrizio e Andrea hanno sostenuto il test d’ammissione all’università. Mentre Fabrizio è riuscito ad entrare nel corso di laurea, Andrea non ce l’ha fatta.
   La sera parlandone con Luca, questo gli propone di andare a parlare con il suo responsabile del negozio per farsi assumere come commesso. Finita la cena i due fidanzati tornano a casa, ma Fabrizio avverte che in Andrea qualcosa non va.
   La mattina del colloquio Andrea riceve la visita a casa di Luca il quale gli fa notare il suo atteggiamento sbagliato nei confronti di Fabrizio avuto la sera precedente a tavola. Finita la conversazione i due vanno al negozio e Matteo, il capo di Luca vedendo Andrea lo assume subito e il ragazzo inizia a lavorare quel giorno stesso. In più dovrà restare anche dopo la chiusura per pulire il negozio.
   Intanto Fabrizio ritrovatosi solo in casa dopo la partenza dei suoi, riceve la visita inaspettata di Daniel, suo ex compagno di squadra, che gli comunica di esser entrato pure lui nella facoltà di psicologia

- Sono qui per chiederti una cosa, considerando che settimana prossima iniziano le lezioni all’università, ti andrebbe di andarci assieme?

- Sì! Ci sto.

   Continuando a parlare Daniel gli rivela che durante la sua estate ha avuto un’esperienza del tutta nuova …

- Una di quelle che non ti aspetti di fare mai nella vita e che ti fanno capire molte cose.


Un nuovo Mondo
Locandina realizzata da Giovanni Trapani, tutti i diritti riservati

Venticinquesima Puntata




Fabrizio

- E che mai avrai potuto fare di così sconvolgente che ti ha sconvolto la vita? – Gli ho domandato con un po’ di curiosità

- Non so se posso dirtela … non so come potresti prenderla

- Se non me lo dici non lo saprai mai, poi se non te la senti è un altro discorso.

- No, no. Devo dirlo a qualcuno altrimenti scoppio. Infondo tu per qualche tempo sei stato il mio confidente di fiducia. – Ä– vero, su questo Daniel aveva ragione. In passato io e lui eravamo stati molti amici e spesso restavamo ad allenarci anche oltre la fine degli allenamenti. Ci divertivamo davvero un sacco, poi da un giorno all’altro, la mia amicizia con Andrea e Massimo, ha fatto sì che mi allontanassi da lui e mi dedicassi completamente ad alimentare il rapporto con i miei amici.

- Se non puoi tenertelo più dentro, allora perché non lo dici?

- Sicuro che non penserai male di me?

- Io non penso male di nessuno. So che a volte non è un bene, ma è così. Forza, dimmi!

- Come ti dicevo ero in vacanza dai miei parenti. Una sera venni portato ad una festa chiamata “Festa d’Estate”. Non sapevo di cosa si trattasse e di quello che vi avrei trovato. Arrivai lì con un mio cugino che avevo da poco scoperto fosse gay, ma quando oltrepassammo il cancello, lo persi di vista. Non sapevo dove cercalo e mentre mi giravo, mi resi conto che si trattava di una festa per soli uomini dove tutto era permesso e così vidi che c’erano ragazzi ovunque che si lasciavano andare a rapporti sessuali senza preoccuparsi di farsi osservare dagli altri. Andai al bar e lì venni adescato dal barman che poi scoprii era uno degli organizzatori. Chiesi un 4 bianchi e mi lasciai corteggiare, anche se per me era tutto strano. Era la prima volta che un ragazzo ci provava così spudoratamente con me e che io ricambiassi senza scompormi, ma flirtando. Era un bel ragazzo, alto più o meno quanto me, sul metro e settantotto, con i capelli castani, un bel sorriso bianco e occhi castani a tratti verdi. Quel suo modo di fare, mi fece perdere il controllo e così mandai giù il drink e iniziai a non capire niente. Ad un certo punto un tizio si avvicinò a me e mi disse qualcosa all’orecchio. Non lo capii, so solo che all’improvviso si mise in ginocchio e iniziò a farmi a lavorare di bocca. Mentre mi trovavo in quella situazione, il ragazzo del bar venne e mi guardò con aria di rimprovero, mi disse una frase che mi offese e andò via. Dopo un po’ tornai al bancone del bar ma lui quasi mi mandò via. Così presi un altro 4 bianchi e andai a ballare. Ma ormai era entrato nella mia mente e così ritornai da lui per parlagli, ma questa volta non c’era. Parlai con un suo amico che mi disse che si era allontanato e così iniziai a cercalo. Quando lo trovai, lo beccai mentre stava facendosi fare la stessa cosa per cui mi rimproverò da un altro e così andai da lui e lo mandai al diavolo. Iniziai a bere non so quanti bicchieri, so solo che non mi reggevo più in piedi e così cercai un posto dove sedermi. Dopo un arco di tempo che non so ben definire, mi si sedette accanto. Io non capivo più nulla. Era tutto così confuso. Ero offeso a causa di un ragazzo che mi aveva rimorchiato e scaricato e la cosa era assurda. Non mi sono mai interessato ai ragazzi e non capisco come tutto quello fosse possibile, però sta di fatto che finii a letto con lui, facendo il sesso più bello di tutta la mia vita.
Quando finimmo, restammo abbracciati e gli dissi che per me era la prima volta. Lui reagì in una maniera strana. Prima disse “Oh cazzo! Non è possibile un verginello” mettendosi una mano fra i capelli e lasciandosi andare ad un sorrisino incredulo, ma poi mi strinse a se’ e mi disse “spero non ti sia fatto male. Dai vieni qui” e la mia faccia si appoggiò al suo petto. Quando la serata finì ci salutammo, io ritrovai mio cucino, più fuori di me, e andammo via. Il giorno dopo tornai in quella villa a cercarlo, ma mi dissero che non c’era più, che dovette partire d’urgenza per un qualche problema in famiglia. Rimasi deluso e gli ultimi giorni li passai pensando a lui e allo stesso tempo con la voglia di andare via. Non sapevo come cercarlo, come rintracciarlo e così restare lì era davvero dura.

- Non hai provato su Facebook?

- Il fatto è che so solo il suo nome, Manuele, e niente più.

- Ci pensi ancora?

- Sì. Ė diventato una vera ossessione per me. Non riesco a non pensarlo.

- Vedrai Daniel se è destino vi ritroverete

- Tu dici?

- Sì! Ne sono certo.

- Ti ringrazio per essere stato così comprensivo con me

- Ma non dirlo neppure per scherzo. Anch’io devo dirti una cosa che riguarda me e Andrea. - E così ho iniziato a raccontargli tutto quello che ci era successo dal nostro primo ti amo a tutto il resto fino agli ultimi episodi successi. – Non è riuscito ad entrare a psicologia e da oggi lavora come commesso in un negozio di abbigliamento. Sono felice per lui, però avverto una strana sensazione.

- Di che tipo?

- Non so spiegartela, so solo che qualcosa sta cambiando e io non so che fare per evitare tutto ciò.

- Vedrai si sistemerà tutto. Dopo tutto quello che mi ha raccontato, vedrai che si sistemerà tutto.

- Lo spero.

Continua …


P.S. VI invito a leggere la pagina "Le Rubriche" per vedere le novità che da ottobre riguarderanno il blog.
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Numero Zero20

Vi invito a leggere la mia prima intervista realizzata Fabio Casadei Turroni per Club Clussic


***
Non posso vivere
in un mondo dove
tu non esisti

Frase detta da Edward protagonista di New Moon
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Racconti di vita... gay: Anomino (per adesso)



Prefazione: Paolo Vanacore
Copertina di e con Giovanni Trapani
Casa Editrice: Tempesta editore
Prezzo: 15,00 Euro




Se anche tu vuoi condivide la tua storia, mandala via e-mail a raccontidivitagay@hotmail.it e così potrai leggerla su il mio mondo espanso e far confrontare chi legge e perché no, confrontarti tu in prima persona


    Prologo   
   Sono contento di poter riprendere sin da questa settimana una delle rubriche a cui tengo molto, e lo faccio con una storia, un po' lunga, ma che racchiude in se' tutti i passaggi di un'adolescenza passata a cercare di capirsi. Una storia che racconta tutte le fasi della sua crescita, segnata da tanti episodi tristi, fino ai giorni nostri, in cui chi scrive, vive serenamente, pur avendo alcune difficoltà. Prima di lasciarvi fatemi ringraziare di vero questo questo ragazzo, che per adesso preferisce l'anonimato, per aver accettato di mettere al servizio di tutti, la sua esperienza.
Francesco Sansone

    Racconti di vita... gay   
Locandina realizzata da
 tutti i diritti riservati

Anonimo (per adesso)

   Salve, quasi non so come cominciare nonostante dovrei avere dimestichezza con questo genere di cose. Come per la  maggior parte delle persone, la mia storia, o il mio racconto di vita, inizia nell' incomprensione, nella solitudine , nella ricerca di me stesso.

   Sono nato in un paese né molto piccolo e né molto grande. Sono il primo di 5 figli, di cui 4 maschi ed 1 femmina. I miei genitori...bene che dire ... fino alla mia adolescenza ho sempre sentito mamma come un'amica, forse perché in un certo senso avendomi avuto a 18 anni siamo cresciuti un po' insieme e sentivo che potevo trovare in lei tutto quello che mi serviva, mentre mio padre, essendo nato in una famiglia fortemente patriarcale ha sempre cercato, così come i suoi fratelli e sorelle, di emulare mio nonno, ma con scarsi risultati. Con lui non ho mai parlato molto e per anni il massimo dei nostri discorsi (quando non litigavamo) si limitavano in sue richieste/ordini tipo “vammi a prendere un pacchetto di malboro” o “vai a fare questa commissione”. Cominciata l’adolescenza, con mio padre si litigava per le cose più stupide; dal mio essere troppo aggraziato (sul quale ho una teoria tutta mia) ai miei capelli che, come diceva una canzone degli articolo 31, o erano troppo lunghi o erano troppo corti. Comunque è meglio tornare dopo sulla questione padre-figlio e soffermarci per ora sulla questione vita di paese.
   Come si sa la vita in un piccolo centro, quando la maggior parte dei ragazzini sono o sembrano differenti da te, è molto difficile. I miei problemi con l' omosessualità sono cominciati alle scuole medie - quanto possono essere cattivi dei bambini. Alle medie ho subito veramente di tutto, ma le cose che più mi sono rimaste imprese sono state:

 Lancio di fialette puzzolenti addosso

 Lancio di uova addosso

 Il mio adorato “sottobanco”, che poverino non so dove si è decomposto, mi è stato rubato il primo mese del terzo anno e sotterrato in qualche terreno sperduto.

 I litigi continui (ho perso il conto di quante volte ho fatto a botte)

 I sopranomi, non vi dico quanto odio il nome Jennifer

 La parola omosessuale che mi è stata detta in tutte le sue varianti più divertenti e dispregiative.

 Il furto e la distruzione di tutti i miei disegni.

 Ma la migliore è stata quella che forse mi ha lasciato un segno che non dimenticherò mai, lo ricordo come se fosse ora. Era l'ora di italiano ed io chiesi alla prof. di italiano di andare in bagno. Entrai e mi chinai alla fontanella per bere, ad un certo punto sentii prendere da dietro, erano in due, quello che mi prese da dietro mi bloccò le braccia dietro la testa e mi manteneva strettissimo, mentre l'altro incominciò a darmi così tanti pugni nello stomaco da stordirmi e da farmi sembrare quel tempo un eternità. Quando uscirono dal bagno rientrai in classe, chino e dolorante, con il volto pieno di lacrime non per il dolore ma per la rabbia per non essermi difeso. ricordo il silenzio che cadde al mio ingresso in classe, la professoressa mi guardò come se avesse capito, tutti mi fissavano in rigoroso silenzio, ma ad un tratto questo fu rotto dalla risata isterica di tutti, divertiti dal fatto che ancora una volta si erano divertiti sulle mie ossa. Una sola persona non rideva la mia amica Licia che però non si poteva alzare né poteva parlarmi visto che in classe vigeva una regola ferrea, se mi si rivolgeva la parola si veniva picchiati. In strada, mentre tornavo a casa, quasi non proferii parola. Seguivo solo mio fratello minore che mi chiedeva cosa avessi, ma con scarsi risultati. Varcato la porta di casa, ero insicuro se dirlo o no a mio padre - forse perché conoscevo la sua politica di allora – però, in un certo qual modo, speravo che capisse. Mi sedetti alla sua destra - mia madre era in piedi dietro di me -, mentre un amico di papà, che come tutti i giorni era venuto a farci visita, era seduto di fronte a me ...

- Papà mi hanno picchiato a scuola...

- Ceffone e risposta : e mazzat a cas nun'z portn. In effetti la vecchia politica di mio padre non era molto pacifica, tutt’altro. Praticamente secondo lui se capitava che si litigasse non bisognava dirlo a casa perché “le botte a casa non si portano, se loro te le suonano, tu gliele devi suonare più forte”. Al che mamma - tanto per cambiare - litigò con papà per colpa mia ed anche l'amico, che aveva cercato di giustificarmi, si pigliò, come si dice dalle mie parti, un cazziatone. Ero molto arrabbiato per come andava la mia vita, ma cosa peggiore ero arrabbiato con chi mi additava come omosessuale, non per altro, ma semplicemente perché pensavo: Non so io se lo sono come fanno a saperlo gli altri. In ogni caso questo mio ragionamento è stato il precedente di anni nei quali mi sono odiato e mi sforzavo di andare con le ragazze per essere come gli altri, per essere come volevano gli altri.

   Passata la scuola media finalmente ero arrivato alle superiori, peccato, però, che ero arrivato dove non volevo stare. Io amavo disegnare, mi sentivo a mio agio solo con una matita in mano, ma mio padre non ne voleva sapere di mandarmi in una scuola lontana da casa, quindi decisero che io dovevo frequentare il liceo scientifico. A quel punto i litigi con mio padre aumentarono e mia madre, poverina, si trovava sempre tra due fuochi. Andavo male a scuola e da qualche tempo avevo cominciato ad andare a letto con una persona a me molto vicina e di conseguenza aumentava il mio disgusto nei miei confronti. Pensavo di sbagliare andando a letto con una persona del mio stesso sesso e di conseguenze passavo ore davanti allo specchio a piangere e a sputare nel mio riflesso. Mi sentivo così in colpa e ad un certo punto incominciai a sentire il bisogno di punire i miei sbagli. Papà non faceva altro che prendermi a botte - ogni scusa era buona - ed io mi sentivo sempre più uno schifo e fu a quel punto che cominciai a punirmi. Le mie braccia oggi portano decine e decine di cicatrici nascoste solo dalla peluria. Cominciai con una penna che avevo in tasca, la presi e con tutta la forza che avevo me la ficcai in un braccio. Poi passai alle forbici, ai coltelli e a tutto quello che trovavo, non mi fraintendete non provavo sollievo anzi... solo pensavo che avessero ragione gli altri.
   Fu un crescendo di cose, ed in un attimo mi ritrovai con un' asciugamano arrotolato intorno alla gola, ci provavo di continuo, vedevo allo specchio il mio volto che lentamente cambiava colore,r osso poi lentamente viola per poi arrivare quasi al blu. L' ultima volta che ci provai, mi fu quasi fatale; mi fermai solo perché vidi sulla mensola del bagno i pantaloni del mio fratellino, la persona che più mi era cara(ho sempre tenuto a lui come ad un figlio più che come ad un fratello). Ricordo che uscito dal bagno, mamma mi guardò il volto e mi chiese cosa avessi fatto, logicamente mi erano scoppiati un casino di capillari sulla faccia ed ero livido, ma le bastò come risposta “ho litigato con Raffaele” (il primo dei miei fratelli). Quando toccai il fondo tentando di impiccarmi cominciai a capire che mi serviva aiuto, specialmente perché non mi sarei fermato se non avessi rivolto gli occhi alla mensola e così chiesi alla prof. di latino di far venire una psicologa apposta per me a scuola e di non farne parola con i miei genitori. La psicologa cominciò a consigliarmi di denunciare il tutto e nel frattempo i professori avevano portato all' esasperazione mia madre che decise finalmente di togliermi dalla scuola. Io non vidi mai più la psicologa e tutto cadde nel vuoto. Nel frattempo papà decise di non parlarmi più perché lo avevo deluso e mi costringeva a stare con lui nel posto che più odiavo: la sua macelleria di famiglia. Dopo qualche mese si convinse, grazie a mi madre ed ad altre persone, che sarei dovuto andare alla scuola che mi piaceva. In quell' occasione mi diede un bacio sulla guancia e mi disse che mi voleva bene, non lo dimenticherò mai.

   La scuola nuova mi piaceva un casino sono stati anni bellissimi. A detta degli altri, diventavo sempre più bello, (era magnifico sentirsi voluto dagli altri) e in contemporanea mi invaghii perdutamente del miglior amico di mio fratello. Questo ragazzo però ha sempre avuto un rapporto molto strano con me, addirittura si rifiutava di passare tempo solo con me per paura che la gente potesse pensare male. Sono stati quasi 10 anni di sguardi, ammiccamenti e di frasi non dette e, purtroppo o per fortuna, quando sono state dette uno dei due si è rifiutato (precisamente una volta ciascuno). Tuttavia continuavo ad interessarmi anche alle ragazze e così persi la testa perdutamente anche per una ragazza. L' unica a sapere di questa mia bisessualità in quegli anni era la mia amica Anna. Avevo così tanta voglia di dire a qualcuno come ero che approfittai del “santo” gioco obbligo o verità. Sapevo, conoscendola, che qualunque cosa avessi detto lei l'avrebbe replicata, ergo le chiesi :

Sei mai stata con una donna?

E lei giustamente mi rispose “NO”

Poi lei replicò sei mai stato con un uomo ?

Il mio si secco e deciso non le fece muovere un ciglio si limitò ad un “ok”.

   Mi sentivo finalmente quasi felice. Qualcuno finalmente sapeva di me, e la gita scolastica a Palermo che ne venne dopo aiutò fortemente il mio ego. Mi sentivo leggermente meglio, volevo gridarlo al mondo. Mi ricordo che in quell'occasione vidi un ragazzo per strada che mi piaceva molto ed io pur di attirare la sua attenzione alzando la voce per strada dissi io sono bisessuale, la risposta che mi diede non fu delle più felici, infatti mi rispose “E chi se ne frega”, dopotutto non tutti potevano dirmi si. Infatti quei pochi "2 di picche" che ho preso tanto mi hanno sconvolto che me li ricordo tutti. In quell'occasione dopo un brutto litigio dissi per sempre addio alla ragazza che mi piaceva, queste cottarelle adolescenziali...

   Quando finì la scuola e mi iscrissi all'accademia delle belle arti, entrai in un nuovo mondo. Mi piaceva, però quella situazione di bisessualità iniziava a starmi sempre più stretta da portarmi a non toccare più cibo , ma nonostante questo continuavo imperterrito ad andare a letto anche con le ragazze oltre che con i ragazzi. La mia migliore amica cercava di farmi mangiare a forza ma io continuavo a desistere. Devo molto alla mia amica Ida, che continuava a sostenermi anche nei litigi con mio padre che non sono smessi neppure in quegli anni. In quel periodo mi costringeva di continuo a tagliare i capelli; ricordo che l' ultima volta che l' ho ha fatto sono entrato in macelleria con una ciocca dei miei capelli e, dopo avergliela messa sul bancone, me ne sono uscito con una di quelle bellissime frasi ad effetto che a noi gay piacciono tanto: Con questi ti sei preso gli ultimi brandelli della mia dignità. In ogni caso è meglio non soffermarmi troppo su queste storie se no non la finisco più, vi accenno solo che nel mio periodo dark un muratore che stava facendo dei lavori in strada ferma mio padre e gli chiede: Scusate ma quella persona che sta venendo verso di noi è maschio o femmina? (Ma chiederlo a quello che gli stava alla sinistra no?) Avevo (ho) un viso androgino e odiavo (odio) esserlo, ora faccio crescere la barba...

   Tornando alla vita in accademia, mi sembrava di essere a casa, era il covo delle diversità. Incontrai un uomo, che ancora oggi sento vicino, che diventò mio amico e ottimo confidente, che mi faceva accettare pian piano quella parte di me che amava andare con i ragazzi. ”Papà Antonio”, il mio amico, era sempre molto solare e, in un certo senso, spesso mi rispecchiavo in lui. Diceva che la bisessualità non esisteva e che tutte le persone che dicevano di esserlo, semplicemente, non avevano il coraggio di essere a pieno quello che erano. Sapevo che aveva ragione nel mio caso, ma non riuscii ad ammetterlo o almeno non ci riuscii fino a qualche anno fa' ...
   In ogni modo sebbene conducessi una vita ambivalente che tenevo ben nascosta in casa, le cose con i miei sembravano andare quasi meglio, mi bastava non dire niente. Mamma già da anni aveva smesso di essere la mia confidente, forse centrava anche l’avermi costretto a troncare una relazione con una ragazza anni prima. In effetti riuscivo a cacciarmi sempre in situazioni assurde. Mi ero fidanzato con una ragazza che faceva parte della famiglia complice degli uomini che avevano ammazzato il cugino di mia madre. In ogni caso in quell' occasione decisi che non avrebbe mai più saputo niente della mia vita.

   Quando vinsi l'Erasmus, il cammino verso la totale accettazione della mia omosessualità stava per concludersi. Li, in Spagna, sotto la pioggia nell'orto di Callisto e Melibea, tutto è cambiato... La vita li sembrava tanto differente. Tutti vedono l' Erasmus come una manna dal cielo, io sono riuscito a prenderne la parte più problematica. Ah non dico che non mi sia piaciuto, ma, almeno che qualcuno non abbia un problema, non so se riesca a prendere coscienza del modo di ragionare di alcune persone spagnole. Non mi si fraintenda, io non generalizzo, ma gli amici bastardi li ho trovati tutti io, davanti ai problemi sono sempre andati via tutti. Incominciai ad uscire con un ragazzo che mi prese in giro, avendomi fatto diventare “l'altro” a mia insaputa e, dopo che mi lasciò, forse perché non c’ero abituato (visto che non mi era mai successo) scatenò qualcosa nel mio orgoglio e quindi decisi di vendicarmi. Non ero certo una perla di ragazzo e mi ricordo esattamente quello che pensai: lui mi ha mollato, beh io questa sera mi faccio la sua amica davanti a lui.
   Quella sera, dopo aver bevuto un casino, mentre ballavo con la sua amica, mi sentii strano; la baciavo privo di emozioni. Per la prima volta, forse per via dell'alcol o forse per le luci e per la musica che andava sempre più forte, mi sentivo fuori posto anche avendo tutta la libertà che mi serviva; quello che stavo facendo non mi apparteneva, il baciare una ragazza non mi apparteneva. Mi fermai e penso di aver detto: sono – sono gay. Chiaramente lei non mi sentì. La stroncai mesi dopo, quando mi fece ubriacare e cercò di portarmi a letto ed io le dissi: vedi nel momento in cui ti ho baciato ho capito di essere gay.
   In ogni caso tornando a quella sera, andai a casa, ma svenni sul pianerottolo del palazzo e quando mi ripresi andai a cercare il ragazzo che mi aveva fatto fare “l'altro”. Pensavo che fosse l'unica persona che poteva capirmi, era l'unica persona gay dichiarato che conoscessi in quel posto. Bussai alla porta e si affacciò la sorella della mia coinquilina (era sua amica), che tra le altre cose mi odiava a morte per un motivo assurdo. Non consiglio a nessuno di diventare amico di una Wiccana fissata, infatti io credo nel sopranaturale ma lei era assurda, accendeva una candela e faceva un rituale per ogni cosa, penso anche per andare in bagno. Diceva che, siccome in una vita precedente aveva fatto molto male, ora si doveva redimere e io le ero nocivo perché attiravo negatività, ergo era meglio smettere di frequentarmi. In ogni caso, dopo che le dissi che ero svenuto non so nemmeno io per quanto tempo e se potevo salire, le spiegai che avevo solo bisogno di parlare con qualcuno e che non avevo secondi fini, semplicemente mi serviva una faccia amica. Mi sbatterono letteralmente la porta in faccia. Intanto fuori aveva iniziato a piovere ed io volevo andare in un posto che mi potesse dare sollievo e incominciai a camminare sotto la pioggia e fradicio arrivai in un giardino, lo chiamavano il giardino degli amanti “el uerto de Calisto e Melibea” i Romeo e Giulietta spagnoli per farvi capire, che non potendo stare insieme si erano gettati dalle mura del giardino. Restai lì sotto la pioggia per due giorni, ed intanto cominciai a prendere coscienza del tutto. I pensieri cominciarono ad affollarsi nella mente incontenibili, erano così tanti che nemmeno riuscivo a respirare, dubbi su dubbi, paure su paure, non avrò mai dei figli! Quanto mi faceva soffrire questa cosa. Poi incominciai a pensare a come fare; io non ero il tipo che si nascondeva, e sapendo quanto fosse omofobica la mia famiglia, sarebbe stato un problema. Tutto andava in contrapposizione e continuai a piangere ininterrottamente, non capivo se fosse un inizio o fosse la fine. Preso dal panico feci uno squillo all' unica persona che mi venne in mente, mia zia, a cui ho sempre voluto un bene dell' anima e che ha sempre aveva sospettato della mia alterità. Mi chiamò subito e ricordo che prima della mia partenza mi diede una lettera dove mi diceva che io avrei sempre potuto contare su di lei ovunque mi trovassi e qualunque fosse stata la mia scelta di vita. A telefono mi disse che si sarebbe risolto tutto e che se volevo lo avrebbe detto lei a mia madre, le risposi di no e dopo aver riattaccato restai lì nel giardino seduto sotto al salice cercando di smettere di singhiozzare... Dopo qualche giorno incominciai ad essere più sereno, tornai a casa per il Natale e cercai di lanciare delle frecciatine a mia madre che purtroppo non capiva o forse non voleva capire, l' unica persona a capirmi, stranamente oltre alla mia amica, era la mia sorellina che per quanto fosse piccola recepiva tutto e si dimostrava spesso come una vera e propria adulta, ed anche se non lo aveva detto palesemente aveva capito ogni cosa. Ripartito per la Spagna ricominciai ad avere qualche storiella, e senza muovere nemmeno un dito “o altro “ ho sfasciato una coppia e, pensate un po’, un matrimonio gay, ma questo non ebbe ripercussione alcuna sulla mia vita in quanto erano solo incidenti di percorso. L'avvenimento che fece venire a conoscenza i miei genitori di tutto, fu la storia con un povero duca che aveva perso tutte le sue proprietà per colpa del patrigno. Diceva di amarmi ed anche io ero perso di lui a tal punto che addirittura cascai come una pera cotta quanto mi disse che avrebbe voluto sposarmi. Mi sentii in dovere quindi di informare i miei di un’eventuale permanenza in Spagna. A telefono mia madre era in lacrime e io non dissi niente, singhiozzavo solo. Le lacrime furono rotte solo dalla mia frase “non è colpa mia”. La risposta di mia madre fu istintiva, disse: "tranquillo". Dopo di che piangemmo entrambi e dopo una specie di chiacchierata fatta da mezze frasi e mie varie suppliche di non dire niente a papà attaccammo il telefono. La mia relazione continuava e siccome l' eventualità di restare in Spagna si faceva sempre più forte e i litigi con mamma per questa mia permanenza aumentavano, venne il momento in cui mamma diede la cornetta del telefono a mio padre e decise di far parlare lui visto che sia lei che zia non riuscivano a convincermi a lasciare tutto e a tornare. Papà sapeva tutto, ed io ne ero sconvolto. Mamma a furia di mantenere questo segreto troppo grande per lei, si era fatta venire l'ulcera e ci stava troppo male e di conseguenza si era sbottonata. A differenza di quello che pensavo, mio padre mi fece un discorso che non mi sarei mai aspettato:

Io ti voglio bene, tu sei il mio sangue tu sei la mia vita, a te ti ho fatto io. Tu per me sei come il mio diamante, sei una pietra preziosa e come tale non mi va che un' altro uomo ti tocchi.

   Intanto io continuavo a chiedergli “scusa”, mi sentivo colpevole di nuovo per come ero, ma questa volta avevo deciso che non avrei anteposto il loro volermi etero alla mia felicità. In effetti il discorso di mio padre che ormai non era quasi più nei miei confronti il padre padrone che avevo sempre avuto, voleva dire che potevo essere gay ma non voleva che nessun uomo mi toccasse. Mi sono sempre chiesto se non ci fosse stata la paura che io non fossi più tornato in Italia come sarebbe andato il tutto.Papà sapeva tutto e non mi aveva trattato come avevo immaginato.
 
   Ero felice però sembrava tutto troppo bello per essere vero e quindi toccò anche a me il morbillo dell' amore, come si dice le corna sono come il morbillo le dobbiamo prendere tutti prima o poi , beh io ne fui il principe, si può dire che il signor duca mi avesse tradito con qualsiasi cosa respirasse compresi i miei due amici, non dico che non me ne fossi accorto, forse solo non ci volevo credere. La notte che ne ebbi la conferma, dopo aver visto decine di messaggi sul suo telefonino, non riuscii a dormire, lui per l' ennesima volta dopo una giornata di lavoro ed una notte passata a festeggiare, era crollato sul letto. Ricordo che mi alzai dal divano e mi misi a fissarlo sulla porta della nostra camera da letto. Erano già le 4 ed io ero stanco di tutto, ad un tratto mi girai alla mia destra e notai il mio autoritratto, che mi avevano fatto fare in facoltà. Io sempre così superbo, ero ridotto ad uno straccio; non mantenni la situazione e mi decisi in fretta e furia, mentre lui dormiva, preparai le valigie e presi uno solo dei miei quadri. Lasciai lì l’autoritratto, non so perché, ma non mi andava di portarlo con me. Sul tavolo della sala da pranzo lasciai un biglietto dove avevo scritto:

ieri ti amavo , oggi ti vedo per il bugiardo che sei

Dissi addio alle mie gatte e in silenzio uscii dalla porta e mi incamminai verso la città, passai a piedi il ponte ed andai da un'amica che aveva internet per prenotare i biglietti e cosi scappai dalla Spagna che, per la legge delle contrapposizioni, dopo avermi fatto il regalo di farmi capire chi ero, mi aveva umiliato distruggendo un sogno. Il tradimento è una bruttissima ferità. Tornato a casa, mio padre, anche se con scarsi risultati, cercava di rimettermi il guinzaglio, ma purtroppo più lui tirava e più io scappavo. Era venuto il momento anche per me del vero confronto, quello tra me e i miei genitori sul mio essere gay. Mi portarono anche da un prete, che non credo si aspettasse che qualcuno lo potesse contraddire così tanto, in ogni caso li misi così alle strette da far capire a tutti che non sarai mai cambiato. A parte mia sorella, i miei fratelli ebbero reazioni negative quando hanno scoperto il mio essere gay, ma non li condanno per questo, mi vogliono bene ed è difficile per loro confrontarsi con qualcosa che si è sempre deriso in casa propria. Una sola cosa sembrava piacere a tutti i miei famigliari; prima che io mi accettassi a pieno, ero spesso effemminato in qualcosa, pur non sentendomi una donna mancata. La consapevolezza ed il non dover nascondermi, mi rese naturale a tal punto da farmi essere come veramente ero dentro, più non volevo essere effemminato per sembrare etero e più lo sembravo, ora che ero gay quel tratto di me stranamente non c' era più.

   Oggi quasi 5 anni dopo tutto sembra essere andato a posto. Sono un semplice ragazzo che ama i ragazzi, sono fidanzato da quasi 4 anni e convivo felicemente con la persona che, tra alti e bassi, mi ha cambiato la vita, ed anche se convivo con lui ed i suoi genitori sessantenni e spesso vorrei scappare, non posso far almeno di essere felice. Sono gay e sono felice con quel ragazzo che molti anni prima mi colpii passeggiando in giro in gita con la scuola tra le strade di Palermo e che quando dissi: “sono bisessuale”, mi rispose “E chi se ne frega”. Anche con i miei i rapporti si sono aggiustati, anzi adesso stravedono per il mio compagno e specialmente mia nonna ne va pazza.

Prima tutto sembrava duro perché, spesso, chi mi additava si dimenticava che io ero anche tante altre cose, è vero ero e sono gay ma prima di tutto SONO IO ...

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