Ernesto Bassignano: «la necessità di ricordare è la cosa più importante tra quelle da insegnare ai giovani»

 


“Lettera a Maria”, il nuovo singolo di Ernesto Bassignano,  che anticipa l’uscita di “Soldati Arlecchini e Pierrot”,  potrebbe essere descritto come un commovente quadro di memoria famigliare.

Il brano, infatti, racconta di una lettera immaginaria,sintesi di tante lettere reali che il pittore Aldo Carpi, zio dell’artista,  fece pervenire alla moglie dal campo di concentramento nel quale era stato rinchiuso durante gli anni delle seconda guerra mondiale.  Non a caso “Lettera a Maria”, uscito per Ondamusic.it in collaborazione con Isola Tobia Label, è stato rilasciato ieri, 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria.

Bassignano racconta a Il mio mondo espanso l’importanza di questo brano e celebra con noi il traguardo del decimo album.

 

L’intervista
 

D. “Lettera a Maria” è una lettera immaginaria, sintesi di tante lettere reali che tuo zio, il pittore Aldo Carpi, fece pervenire a sua moglie dal campo di concentramento di Gusen. Cosa ha significato per te dare vita a questo brano?

R. Ha significato innanzitutto ricordare la famiglia Carpi, che ho tanto amato. Sento una forte linea di continuità con quello che era effettivamente il mio prozio, papà del grande musicista Fiorenzo Carpi. In quella famiglia, in quei tempi così difficili, la politica, intesa come gestione della “polis” era considerata un valore nobile, ed investiva ogni settore della vita, perché investiva le relazioni umane. Era il senso delle cose che mia madre mi ha tramandato, i valori di giustizia e libertà che erano prioritari rispetto a tutto il resto. Sono cresciuto in quest’ambiente, e questa canzone mi ha dato la possibilità di sottolinearlo ancora una volta.

 

D. Rileggendo quelle lettere, cosa hai provato?

R. Ho provato una pace incredibile, e sento una straordinaria ammirazione per la serenità che quell’uomo sapeva mantenere. In quelle lettere c’era soltanto amore: amore per la propria donna, per la propria famiglia, per la propria gente. Non c’è mai neanche una parola di odio, nemmeno verso i nazisti che lo stavano brutalizzando in maniera così feroce. Ho imparato per la prima volta cosa vuol dire non odiare. Mio zio Aldo Carpi era soprannominato “Il Santone” non solo per la sua infinita mitezza, ma anche per il suo atteggiamento di vero amore per gli altri. Nato ebreo, si convertì al cattolicesimo perché riteneva di trovarvi motivi di serenità e di pace.

 

D. Il singolo è uscito in occasione della Giornata della Memoria, una data che serve a ricordare quello che l’uomo è stata in grado di fare ad altri uomini. Quanto è importante il valore della memoria?

R. Penso che la necessità di ricordare sia la cosa più importante tra quelle da insegnare ai giovani. Significa avvertire la necessità totale di riprendere il filo col proprio passato, non solo per non ripeterne gli errori ma anche per sapere da dove si proviene. La generazione a cui appartengo sa perfettamente cos’è la memoria: io ho ormai 74 anni, per me ricordare è un fatto naturale. Ma i giovani, sia dai genitori che dai professori non vengono sollecitati abbastanza al desiderio di sapere e di ricordare. La memoria viene menzionata solamente solo nelle grandi occasioni o nelle commemorazioni, ma nel quotidiano serve far capire loro che il senso dello studio è il sapere, non la competizione o il nozionismo.

 

D. La società odierna, visti anche gli ultimi fatti di cronaca, credi abbia “leggermente” dimenticato cosa abbia significato la Shoah?

R. Penso proprio di sì: ogni giorno che passa ci occupiamo sempre più di cronaca e sempre meno di storia. Ricordo che quando ero al ginnasio ci portavano al cinema per farci assistere ai documentari sulla Shoah: di punto in bianco ci siamo trovati di fronte a montagne di cadaveri, a carri pieni di morti, e la visione è stata scioccante: quei cadaveri erano lì, tangibili, presenti. Io rimasi scioccato, e da quel momento, una volta realizzato che tutto ciò è accaduto veramente, mi sono detto:“Mai più permetterò a qualcuno di negare la Shoah”.



D. Ancora una volta la musica diventa fautrice di messaggi. Quando è importante, per te, questo ruolo dell’arte?

R. Talmente importante che ci ho giocato la carriera, per questo motivo!Fin dal mio primo album, che era un disco di lotta. Quel disco già mi inquadrava in un contesto molto particolare: chi faceva dischi considerati “politici” non poteva certo ambire alle classifiche. Ma subito dopo, nel 1975, quando uscì il mio album “Moby Dick”in RAI c’era la commissione censura, che mi censurò 7 brani su 10! In quel disco parlavo di un’Italia spezzata a metà. È una situazione, quella della divisione, che purtroppo esiste tuttora. In RAI non è contemplato che passino canzoni di lotta: in RAI si canta d’amore, e può succedere che esistano fenomeni come Luigi Tenco, che volendo unire la canzone d’amore alle tematiche sociali alla fine ci rimette la pelle.

 

D. “Lettera a Maria” è il primo singolo del tuo decimo album. Com’è cambiato l’ambiente musicale dal tuo debutto?

R. Il mio debutto era un debutto politico, come dicevamo, in un momento di vera tragedia umana, politica, esistenziale. Dai primi anni 80 il quadro è cambiato sostanzialmente: è cambiato il Festival di Sanremo, sono comparsi programmi come “Domenica In”, e il pop la musica leggera hanno ricoperto quel ruolo di disimpegno che stava diventando sempre più imperante. Ho visto coi miei anni passando di disco in disco, l’Italia sempre più divisa in due, tra Pop e Folk studio. Era molto triste, io e altri come me provammo ad inventare la “nuova canzone”, con l’intento di “legare” queste due fette di paese così slegate tra loro. La canzone cosiddetta d’autore nasce così. È inutile citare grandi nomi che conosciamo tutti. Ci rivolgevamo a stilemi un po’ più francesi che anglosassoni, americani. Poi però man mano è arrivata la videomusic che ha ucciso la musica “suonata”: la musica è diventata un fatto visivo e televisivo, e c’è stata una caduta della canzone colta.

 

D. Cosa rimpiangi maggiormente di quel modo di fare musica e cosa invece rimproveri a quello attuale?

R. Rimpiango la mancanza del Folk studio, e di tutti i locali che in quel periodo svolgevano quella funzione. Si usciva di casa, si andava a provare lì e una volta lì si capiva subito se eri bravo o no, c’era un riscontro immediato. Poi, progressivamente questi luoghi sono morti, perché alla gente è stata tolta la voglia di uscire la sera…  Ai miei tempi c’era la musica “off”, c’era una vera alternativa alla musica fatta con intento commerciale. Poi i produttori hanno smesso di occuparsi di noi. Le riviste sono tutte morte. In pochi anni non si è più parlato della musica “adulta”, quella di Paolo Conte e di Fabrizio De André. Oggi è tutto asservito a un capitale ignorante, grandi imperi che decidono tutto. La persona che ha talento ma non ha il look giusto e non appare non può più avere nessuna chance.

 

D. Dieci album dicevamo. Se dovessi tracciare un bilancio di questi lavori, cosa verrebbe fuori?

R. Il bilancio è che sono passati 50 anni. Io faccio politica satira, musica, radio. Tutte queste cose servono per dire che non ho mai smesso di partecipare alla vita suonando, ma mi è rimasta la voglia di essere “gente tra la gente”, e devo dire che questo mi è riuscito. Gli errori più grossi li ho commessi io in prima persona. Mi sento un “dilettante” in tutto, pur facendo le cose bene. La verità è che io non ho mai sentito l’arte come un “sacro fuoco”:quello che facevo doveva servire alla società. Nonostante questo, da un paio d’anni a questa parte, con una serie di produzioni “giuste”, non vengo più percepito come un giornalista che vuole cantare, ma finalmente, alla bella età di 74 anni, come un cantautore. E questo mi fa molto piacere.


Il videoclip



Read More

"Narrè", il nuovo singolo dei Vorianova. Biagio Di Gesaro: «Guardare al passato significa trovare la consapevolezza di chi si è e di chi si è stati».



A qualche anno dall’ultimo lavoro discografico, i Vorianova presentano il nuovo singolo “Narrè”, che

Read More

Laura Mà: « Non importa quanto vai piano, l’importante è non fermarsi»



È una ballad a cavallo fra pop e dance elettronica il nuovo singolo della cantautrice indie Laura Mà dal titolo “Sei forte davvero”, scritto assieme a Lorenzo Di Lorenzo.

Un brano che invita a guardare sempre oltre l’ostacolo e a rialzarsi dopo ogni sconfitta. Una riflessione sulla vita, che viene vista da Laura come una sorta di gara che ognuno disputa con se stesso.


L’intervista


D. “Sei forte davvero” in cui si incita a non abbattersi di fronte agli ostacoli incontrati lungo il nostro percorso. Come nasce il testo di questo brano che hai scritto assieme a Lorenzo di Lorenzo?

R. Nel testo della canzone mi soffermo a fare delle riflessioni sulla vita, raccontandole ai miei nipoti Matilde ed Anthony, come fosse una favola, e come tutte le favole condivido con loro un segreto quello che è la chiave della mia forza:

 “Invece di aspettare che qualcuno ti porti dei fiori, impari che c’è la puoi fare che sei forte davvero, che vali davvero”.


D. Quando è stata l’ultima volta in cui ti sei detta: «Laura, su, non abbatterti»?

R. Quando ho perso il lavoro a causa del primo Lockdown.



D.
Forte di questo ti chiedo, da giovane artista quale sei, come hai vissuto e stai vivendo la condizione di stop causata dal Covid-19?

R. Mi sono riorganizzata la vita, ho studiato molto, ho dato ampio spazio alla mia forte creatività, mi sono  autoprodotta il singolo e il video di “Sei forte davvero”, e adesso sto facendo promozione.Cerco  di cogliere il bello anche nei momenti difficili, c’è una frase stupenda che ho letto da qualche parte, che mi rappresenta: “Cadendo la goccia scava la pietra non per la sua forza, ma per la sua costanza” .

 

D. Parlando del brano hai detto che la vita è una gara che ognuno disputa con se stesso,per cui se si aguzza l’ingegno, rinascere è sempre possibile. Il lockdown quale ingegno ti ha permesso di mettere in piedi?

R. Non importa quanto vai piano, l’importante è non fermarsi.

 

D. “Sei forte davvero ” è una ballad a cavallo fra pop e dance elettronica. Una fusione di generi, questa, che rende il brano fresco e diretto allo stesso tempo. Quanto ti piace sperimentare con la musica?

R. Sono un vulcano di emozioni,  mi piace sperimentare cose nuove nella musica, mantiene vivo lo stupore che provavo da bambina. E lo stupore accende le idee.



D.
Il brano è accompagnato dal videoclip diretto da Rita Amidei. Com’è nata la vostra collaborazione?

R. La nostra collaborazione è nata per caso , cercavo un videomaker per il mio primo singolo E Correrò” , l’ho trovata su internet e quando ci siamo conosciute, mi è piaciuto l’entusiasmo, la passione e la determinazione con cui ha affrontato il progetto. Naturalmente, poi, è stata riconfermata a pieni voti anche per il  video di questo singolo.


D. Dopo “Sei forte davvero, cosa dobbiamo aspettarci?

R. Sicuramente un altro singolo, io e il cantautore Lorenzo Di Lorenzo, stiamo già al lavoro, ci saranno delle belle sorprese!


Il videoclip di "Sei  forte davvero"


Read More

Marco Profeta: «inutile affannarsi su cosa avremmo potuto fare, facciamo e facciamolo al meglio delle nostre possibilità.»

 


Il nuovo anno de Il mio mondo espanso si apre accogliendo nuovamente un artista di indiscussa sensibilità musicale. Dopo averci presentato qualche tempo fa il singolo "Sono il cattivo", Marco Profeta torna per parlarci di "Quello che so", il nuovo brano uscito a dicembre 2020.


«Quello che so… è che non so molto. - dice l'artista parlando del suo nuovo lavoro - Ancora non capisco appieno i meccanismi e le dinamiche di questa vita. A volte ti sorprende, la maggior parte delle volte ti delude. Ma, come dice una mia saggia Amica, è tutta una questione di aspettativa. Oggi sono consapevole che il tempo ha fretta di insegnarti che non torna, quindi dobbiamo vivere e viverci in tutti i nostri aspetti, buoni e meno buoni, con la volontà e la consapevolezza che scrivendo nuove pagine, tutto trova la sua dimensione, tutto si “aggiusta”.»


L'intervista

D. “Quello che so” è un brano intimista che si sofferma sulla dinamiche delle vita. Dinamiche non sempre facili da capire, ma a cui nessun può sottrarsi. Tu hai provato a dare un senso a ciò a cui la vita ci pone e a quale conclusione sei arrivato?

R. Credo che il senso di ciò che ci accade e, più in generale, della vita sia del tutto imperscrutabile e difficilmente comprensibile. Forse solo quando “collezioniamo” una serie di esperienze ed abbiamo l’occasione e la forza di guardarle attraverso la lente del tempo che è passato ne intravediamo il senso. Ciò che ho imparato sulla mia pelle è di non cercare il senso della nostra vita, ma darglielo, ogni minuto, ogni istante, ogni giorno.


D. Siamo tutti lì a correre dietro al tempo,  senza, però, vivere quasi mai il “qui e adesso”. Quando ci fermiamo è poi, forse, troppo tardi e il presente è diventato il passato. Col senno di poi, cosa rifaresti diversamente?

R. Tutto e niente. Spesso mi guardo allo specchio e mi chiedo se avessi cominciato a pubblicare prima le mie canzoni, forse oggi avrei avuto maggiori esperienze al mio attivo, avrei condiviso con più persone le mie emozioni… poi mi soffermo e mi rendo conto che quelle emozioni sono venute fuori in quel preciso momento storico della mia vita proprio perché supportate da altre esperienze. Ed allora torna il concetto del “qui e ora”: inutile affannarsi su cosa avremmo potuto fare, facciamo e facciamolo al meglio delle nostre possibilità.


D. Qual è il rimpianto più grande con cui fai continuamente i conti?

R. Non aver abbracciato quando potevo farlo.



D. Parlando del brano hai detto: «la vita a volte si sorprende, ma la maggior parte delle volte ti delude». Quando sei rimasto deluso e perché?

R. Fino a 30 anni sono stato perennemente deluso, perché riponevo in me grandi e forti aspettative che, puntualmente, venivano deluse.

Poi ho capito che di grande dobbiamo coltivare i sogni, ma non aspettarci nulla. Questo è il modo di poter affrontare il nostro quotidiano ed abbracciare la vita, anche nelle sue pieghe più dolorose.


D. “Quello che so” è accompagnato dal videoclip diretto da Daniele Comelli e Davide Fraraccio. Com’è nata la vostra collaborazione?

R. Vidi un lavoro realizzato da questi meravigliosi artisti nel 2017 e sentii nello stomaco che dovevo affidarmi a loro per la realizzazione di un videoclip, il primo della mia era “autoriale italiana”, di una canzone che si intitola “e poi arrivò dicembre”, alla quale sono particolarmente legato.

L’istinto non mi ha fatto sbagliare. Lavorammo al video, alla sua scrittura ed alla sua realizzazione come se ci conoscessimo da sempre. Da allora non realizzo un videoclip se non ci sono loro… in arte ORE25.



D. Il 2020 è terminato da qualche giorno e in un modo o nell’altro ha segnato ciascuno di noi. Senza voler fare della retorica, è stato un anno difficile, pesante e odioso. Cosa ti ha lasciato questo 2020 che inevitabilmente non potrai più dimenticare?

R. Non amo le scansioni temporali. Mi fanno sentire un numero. Inevitabilmente però  i conti a fine anno li facciamo. Per me è stato un anno particolare, pieno di risorse che mai avrei creduto sia sotto il profilo lavorativo (parlo dell’avventura a TV8- Sky) e personale (ho riscoperto in me una forza ed una saggezza che usualmente non ho).

Ciò che non dimenticherò di negativo in questo anno appena trascorso è il dolore delle persone, il dolore della separazione dagli affetti, tutto ciò che la pandemia ha portato in ognuno di noi.

Non voglio sembrarti un sognatore scriteriato, ma credo sia importante fare tesoro di queste brutture che inevitabilmente tutti abbiamo vissuto e usarle come “concime” per la nostra felicità. La meritiamo.


D. Per concludere, se potessi esprimere un desiderio per questo 2021, quale sarebbe?

R. Di essere sempre intervistato da te, che sei un gran bravo professionista, ma soprattutto una persona eccellente.

D. Troppo buono, così mi imbarazzo, però.


Il videoclip di "Quello che so"



Read More

Cerca nel blog

Powered by Blogger.

Etichette/Tag

© Copyright Il mio mondo espanso