Racconti di vita... gay: Anomino (per adesso)



Prefazione: Paolo Vanacore
Copertina di e con Giovanni Trapani
Casa Editrice: Tempesta editore
Prezzo: 15,00 Euro




Se anche tu vuoi condivide la tua storia, mandala via e-mail a raccontidivitagay@hotmail.it e così potrai leggerla su il mio mondo espanso e far confrontare chi legge e perché no, confrontarti tu in prima persona


    Prologo   
   Sono contento di poter riprendere sin da questa settimana una delle rubriche a cui tengo molto, e lo faccio con una storia, un po' lunga, ma che racchiude in se' tutti i passaggi di un'adolescenza passata a cercare di capirsi. Una storia che racconta tutte le fasi della sua crescita, segnata da tanti episodi tristi, fino ai giorni nostri, in cui chi scrive, vive serenamente, pur avendo alcune difficoltà. Prima di lasciarvi fatemi ringraziare di vero questo questo ragazzo, che per adesso preferisce l'anonimato, per aver accettato di mettere al servizio di tutti, la sua esperienza.
Francesco Sansone

    Racconti di vita... gay   
Locandina realizzata da
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Anonimo (per adesso)

   Salve, quasi non so come cominciare nonostante dovrei avere dimestichezza con questo genere di cose. Come per la  maggior parte delle persone, la mia storia, o il mio racconto di vita, inizia nell' incomprensione, nella solitudine , nella ricerca di me stesso.

   Sono nato in un paese né molto piccolo e né molto grande. Sono il primo di 5 figli, di cui 4 maschi ed 1 femmina. I miei genitori...bene che dire ... fino alla mia adolescenza ho sempre sentito mamma come un'amica, forse perché in un certo senso avendomi avuto a 18 anni siamo cresciuti un po' insieme e sentivo che potevo trovare in lei tutto quello che mi serviva, mentre mio padre, essendo nato in una famiglia fortemente patriarcale ha sempre cercato, così come i suoi fratelli e sorelle, di emulare mio nonno, ma con scarsi risultati. Con lui non ho mai parlato molto e per anni il massimo dei nostri discorsi (quando non litigavamo) si limitavano in sue richieste/ordini tipo “vammi a prendere un pacchetto di malboro” o “vai a fare questa commissione”. Cominciata l’adolescenza, con mio padre si litigava per le cose più stupide; dal mio essere troppo aggraziato (sul quale ho una teoria tutta mia) ai miei capelli che, come diceva una canzone degli articolo 31, o erano troppo lunghi o erano troppo corti. Comunque è meglio tornare dopo sulla questione padre-figlio e soffermarci per ora sulla questione vita di paese.
   Come si sa la vita in un piccolo centro, quando la maggior parte dei ragazzini sono o sembrano differenti da te, è molto difficile. I miei problemi con l' omosessualità sono cominciati alle scuole medie - quanto possono essere cattivi dei bambini. Alle medie ho subito veramente di tutto, ma le cose che più mi sono rimaste imprese sono state:

 Lancio di fialette puzzolenti addosso

 Lancio di uova addosso

 Il mio adorato “sottobanco”, che poverino non so dove si è decomposto, mi è stato rubato il primo mese del terzo anno e sotterrato in qualche terreno sperduto.

 I litigi continui (ho perso il conto di quante volte ho fatto a botte)

 I sopranomi, non vi dico quanto odio il nome Jennifer

 La parola omosessuale che mi è stata detta in tutte le sue varianti più divertenti e dispregiative.

 Il furto e la distruzione di tutti i miei disegni.

 Ma la migliore è stata quella che forse mi ha lasciato un segno che non dimenticherò mai, lo ricordo come se fosse ora. Era l'ora di italiano ed io chiesi alla prof. di italiano di andare in bagno. Entrai e mi chinai alla fontanella per bere, ad un certo punto sentii prendere da dietro, erano in due, quello che mi prese da dietro mi bloccò le braccia dietro la testa e mi manteneva strettissimo, mentre l'altro incominciò a darmi così tanti pugni nello stomaco da stordirmi e da farmi sembrare quel tempo un eternità. Quando uscirono dal bagno rientrai in classe, chino e dolorante, con il volto pieno di lacrime non per il dolore ma per la rabbia per non essermi difeso. ricordo il silenzio che cadde al mio ingresso in classe, la professoressa mi guardò come se avesse capito, tutti mi fissavano in rigoroso silenzio, ma ad un tratto questo fu rotto dalla risata isterica di tutti, divertiti dal fatto che ancora una volta si erano divertiti sulle mie ossa. Una sola persona non rideva la mia amica Licia che però non si poteva alzare né poteva parlarmi visto che in classe vigeva una regola ferrea, se mi si rivolgeva la parola si veniva picchiati. In strada, mentre tornavo a casa, quasi non proferii parola. Seguivo solo mio fratello minore che mi chiedeva cosa avessi, ma con scarsi risultati. Varcato la porta di casa, ero insicuro se dirlo o no a mio padre - forse perché conoscevo la sua politica di allora – però, in un certo qual modo, speravo che capisse. Mi sedetti alla sua destra - mia madre era in piedi dietro di me -, mentre un amico di papà, che come tutti i giorni era venuto a farci visita, era seduto di fronte a me ...

- Papà mi hanno picchiato a scuola...

- Ceffone e risposta : e mazzat a cas nun'z portn. In effetti la vecchia politica di mio padre non era molto pacifica, tutt’altro. Praticamente secondo lui se capitava che si litigasse non bisognava dirlo a casa perché “le botte a casa non si portano, se loro te le suonano, tu gliele devi suonare più forte”. Al che mamma - tanto per cambiare - litigò con papà per colpa mia ed anche l'amico, che aveva cercato di giustificarmi, si pigliò, come si dice dalle mie parti, un cazziatone. Ero molto arrabbiato per come andava la mia vita, ma cosa peggiore ero arrabbiato con chi mi additava come omosessuale, non per altro, ma semplicemente perché pensavo: Non so io se lo sono come fanno a saperlo gli altri. In ogni caso questo mio ragionamento è stato il precedente di anni nei quali mi sono odiato e mi sforzavo di andare con le ragazze per essere come gli altri, per essere come volevano gli altri.

   Passata la scuola media finalmente ero arrivato alle superiori, peccato, però, che ero arrivato dove non volevo stare. Io amavo disegnare, mi sentivo a mio agio solo con una matita in mano, ma mio padre non ne voleva sapere di mandarmi in una scuola lontana da casa, quindi decisero che io dovevo frequentare il liceo scientifico. A quel punto i litigi con mio padre aumentarono e mia madre, poverina, si trovava sempre tra due fuochi. Andavo male a scuola e da qualche tempo avevo cominciato ad andare a letto con una persona a me molto vicina e di conseguenza aumentava il mio disgusto nei miei confronti. Pensavo di sbagliare andando a letto con una persona del mio stesso sesso e di conseguenze passavo ore davanti allo specchio a piangere e a sputare nel mio riflesso. Mi sentivo così in colpa e ad un certo punto incominciai a sentire il bisogno di punire i miei sbagli. Papà non faceva altro che prendermi a botte - ogni scusa era buona - ed io mi sentivo sempre più uno schifo e fu a quel punto che cominciai a punirmi. Le mie braccia oggi portano decine e decine di cicatrici nascoste solo dalla peluria. Cominciai con una penna che avevo in tasca, la presi e con tutta la forza che avevo me la ficcai in un braccio. Poi passai alle forbici, ai coltelli e a tutto quello che trovavo, non mi fraintendete non provavo sollievo anzi... solo pensavo che avessero ragione gli altri.
   Fu un crescendo di cose, ed in un attimo mi ritrovai con un' asciugamano arrotolato intorno alla gola, ci provavo di continuo, vedevo allo specchio il mio volto che lentamente cambiava colore,r osso poi lentamente viola per poi arrivare quasi al blu. L' ultima volta che ci provai, mi fu quasi fatale; mi fermai solo perché vidi sulla mensola del bagno i pantaloni del mio fratellino, la persona che più mi era cara(ho sempre tenuto a lui come ad un figlio più che come ad un fratello). Ricordo che uscito dal bagno, mamma mi guardò il volto e mi chiese cosa avessi fatto, logicamente mi erano scoppiati un casino di capillari sulla faccia ed ero livido, ma le bastò come risposta “ho litigato con Raffaele” (il primo dei miei fratelli). Quando toccai il fondo tentando di impiccarmi cominciai a capire che mi serviva aiuto, specialmente perché non mi sarei fermato se non avessi rivolto gli occhi alla mensola e così chiesi alla prof. di latino di far venire una psicologa apposta per me a scuola e di non farne parola con i miei genitori. La psicologa cominciò a consigliarmi di denunciare il tutto e nel frattempo i professori avevano portato all' esasperazione mia madre che decise finalmente di togliermi dalla scuola. Io non vidi mai più la psicologa e tutto cadde nel vuoto. Nel frattempo papà decise di non parlarmi più perché lo avevo deluso e mi costringeva a stare con lui nel posto che più odiavo: la sua macelleria di famiglia. Dopo qualche mese si convinse, grazie a mi madre ed ad altre persone, che sarei dovuto andare alla scuola che mi piaceva. In quell' occasione mi diede un bacio sulla guancia e mi disse che mi voleva bene, non lo dimenticherò mai.

   La scuola nuova mi piaceva un casino sono stati anni bellissimi. A detta degli altri, diventavo sempre più bello, (era magnifico sentirsi voluto dagli altri) e in contemporanea mi invaghii perdutamente del miglior amico di mio fratello. Questo ragazzo però ha sempre avuto un rapporto molto strano con me, addirittura si rifiutava di passare tempo solo con me per paura che la gente potesse pensare male. Sono stati quasi 10 anni di sguardi, ammiccamenti e di frasi non dette e, purtroppo o per fortuna, quando sono state dette uno dei due si è rifiutato (precisamente una volta ciascuno). Tuttavia continuavo ad interessarmi anche alle ragazze e così persi la testa perdutamente anche per una ragazza. L' unica a sapere di questa mia bisessualità in quegli anni era la mia amica Anna. Avevo così tanta voglia di dire a qualcuno come ero che approfittai del “santo” gioco obbligo o verità. Sapevo, conoscendola, che qualunque cosa avessi detto lei l'avrebbe replicata, ergo le chiesi :

Sei mai stata con una donna?

E lei giustamente mi rispose “NO”

Poi lei replicò sei mai stato con un uomo ?

Il mio si secco e deciso non le fece muovere un ciglio si limitò ad un “ok”.

   Mi sentivo finalmente quasi felice. Qualcuno finalmente sapeva di me, e la gita scolastica a Palermo che ne venne dopo aiutò fortemente il mio ego. Mi sentivo leggermente meglio, volevo gridarlo al mondo. Mi ricordo che in quell'occasione vidi un ragazzo per strada che mi piaceva molto ed io pur di attirare la sua attenzione alzando la voce per strada dissi io sono bisessuale, la risposta che mi diede non fu delle più felici, infatti mi rispose “E chi se ne frega”, dopotutto non tutti potevano dirmi si. Infatti quei pochi "2 di picche" che ho preso tanto mi hanno sconvolto che me li ricordo tutti. In quell'occasione dopo un brutto litigio dissi per sempre addio alla ragazza che mi piaceva, queste cottarelle adolescenziali...

   Quando finì la scuola e mi iscrissi all'accademia delle belle arti, entrai in un nuovo mondo. Mi piaceva, però quella situazione di bisessualità iniziava a starmi sempre più stretta da portarmi a non toccare più cibo , ma nonostante questo continuavo imperterrito ad andare a letto anche con le ragazze oltre che con i ragazzi. La mia migliore amica cercava di farmi mangiare a forza ma io continuavo a desistere. Devo molto alla mia amica Ida, che continuava a sostenermi anche nei litigi con mio padre che non sono smessi neppure in quegli anni. In quel periodo mi costringeva di continuo a tagliare i capelli; ricordo che l' ultima volta che l' ho ha fatto sono entrato in macelleria con una ciocca dei miei capelli e, dopo avergliela messa sul bancone, me ne sono uscito con una di quelle bellissime frasi ad effetto che a noi gay piacciono tanto: Con questi ti sei preso gli ultimi brandelli della mia dignità. In ogni caso è meglio non soffermarmi troppo su queste storie se no non la finisco più, vi accenno solo che nel mio periodo dark un muratore che stava facendo dei lavori in strada ferma mio padre e gli chiede: Scusate ma quella persona che sta venendo verso di noi è maschio o femmina? (Ma chiederlo a quello che gli stava alla sinistra no?) Avevo (ho) un viso androgino e odiavo (odio) esserlo, ora faccio crescere la barba...

   Tornando alla vita in accademia, mi sembrava di essere a casa, era il covo delle diversità. Incontrai un uomo, che ancora oggi sento vicino, che diventò mio amico e ottimo confidente, che mi faceva accettare pian piano quella parte di me che amava andare con i ragazzi. ”Papà Antonio”, il mio amico, era sempre molto solare e, in un certo senso, spesso mi rispecchiavo in lui. Diceva che la bisessualità non esisteva e che tutte le persone che dicevano di esserlo, semplicemente, non avevano il coraggio di essere a pieno quello che erano. Sapevo che aveva ragione nel mio caso, ma non riuscii ad ammetterlo o almeno non ci riuscii fino a qualche anno fa' ...
   In ogni modo sebbene conducessi una vita ambivalente che tenevo ben nascosta in casa, le cose con i miei sembravano andare quasi meglio, mi bastava non dire niente. Mamma già da anni aveva smesso di essere la mia confidente, forse centrava anche l’avermi costretto a troncare una relazione con una ragazza anni prima. In effetti riuscivo a cacciarmi sempre in situazioni assurde. Mi ero fidanzato con una ragazza che faceva parte della famiglia complice degli uomini che avevano ammazzato il cugino di mia madre. In ogni caso in quell' occasione decisi che non avrebbe mai più saputo niente della mia vita.

   Quando vinsi l'Erasmus, il cammino verso la totale accettazione della mia omosessualità stava per concludersi. Li, in Spagna, sotto la pioggia nell'orto di Callisto e Melibea, tutto è cambiato... La vita li sembrava tanto differente. Tutti vedono l' Erasmus come una manna dal cielo, io sono riuscito a prenderne la parte più problematica. Ah non dico che non mi sia piaciuto, ma, almeno che qualcuno non abbia un problema, non so se riesca a prendere coscienza del modo di ragionare di alcune persone spagnole. Non mi si fraintenda, io non generalizzo, ma gli amici bastardi li ho trovati tutti io, davanti ai problemi sono sempre andati via tutti. Incominciai ad uscire con un ragazzo che mi prese in giro, avendomi fatto diventare “l'altro” a mia insaputa e, dopo che mi lasciò, forse perché non c’ero abituato (visto che non mi era mai successo) scatenò qualcosa nel mio orgoglio e quindi decisi di vendicarmi. Non ero certo una perla di ragazzo e mi ricordo esattamente quello che pensai: lui mi ha mollato, beh io questa sera mi faccio la sua amica davanti a lui.
   Quella sera, dopo aver bevuto un casino, mentre ballavo con la sua amica, mi sentii strano; la baciavo privo di emozioni. Per la prima volta, forse per via dell'alcol o forse per le luci e per la musica che andava sempre più forte, mi sentivo fuori posto anche avendo tutta la libertà che mi serviva; quello che stavo facendo non mi apparteneva, il baciare una ragazza non mi apparteneva. Mi fermai e penso di aver detto: sono – sono gay. Chiaramente lei non mi sentì. La stroncai mesi dopo, quando mi fece ubriacare e cercò di portarmi a letto ed io le dissi: vedi nel momento in cui ti ho baciato ho capito di essere gay.
   In ogni caso tornando a quella sera, andai a casa, ma svenni sul pianerottolo del palazzo e quando mi ripresi andai a cercare il ragazzo che mi aveva fatto fare “l'altro”. Pensavo che fosse l'unica persona che poteva capirmi, era l'unica persona gay dichiarato che conoscessi in quel posto. Bussai alla porta e si affacciò la sorella della mia coinquilina (era sua amica), che tra le altre cose mi odiava a morte per un motivo assurdo. Non consiglio a nessuno di diventare amico di una Wiccana fissata, infatti io credo nel sopranaturale ma lei era assurda, accendeva una candela e faceva un rituale per ogni cosa, penso anche per andare in bagno. Diceva che, siccome in una vita precedente aveva fatto molto male, ora si doveva redimere e io le ero nocivo perché attiravo negatività, ergo era meglio smettere di frequentarmi. In ogni caso, dopo che le dissi che ero svenuto non so nemmeno io per quanto tempo e se potevo salire, le spiegai che avevo solo bisogno di parlare con qualcuno e che non avevo secondi fini, semplicemente mi serviva una faccia amica. Mi sbatterono letteralmente la porta in faccia. Intanto fuori aveva iniziato a piovere ed io volevo andare in un posto che mi potesse dare sollievo e incominciai a camminare sotto la pioggia e fradicio arrivai in un giardino, lo chiamavano il giardino degli amanti “el uerto de Calisto e Melibea” i Romeo e Giulietta spagnoli per farvi capire, che non potendo stare insieme si erano gettati dalle mura del giardino. Restai lì sotto la pioggia per due giorni, ed intanto cominciai a prendere coscienza del tutto. I pensieri cominciarono ad affollarsi nella mente incontenibili, erano così tanti che nemmeno riuscivo a respirare, dubbi su dubbi, paure su paure, non avrò mai dei figli! Quanto mi faceva soffrire questa cosa. Poi incominciai a pensare a come fare; io non ero il tipo che si nascondeva, e sapendo quanto fosse omofobica la mia famiglia, sarebbe stato un problema. Tutto andava in contrapposizione e continuai a piangere ininterrottamente, non capivo se fosse un inizio o fosse la fine. Preso dal panico feci uno squillo all' unica persona che mi venne in mente, mia zia, a cui ho sempre voluto un bene dell' anima e che ha sempre aveva sospettato della mia alterità. Mi chiamò subito e ricordo che prima della mia partenza mi diede una lettera dove mi diceva che io avrei sempre potuto contare su di lei ovunque mi trovassi e qualunque fosse stata la mia scelta di vita. A telefono mi disse che si sarebbe risolto tutto e che se volevo lo avrebbe detto lei a mia madre, le risposi di no e dopo aver riattaccato restai lì nel giardino seduto sotto al salice cercando di smettere di singhiozzare... Dopo qualche giorno incominciai ad essere più sereno, tornai a casa per il Natale e cercai di lanciare delle frecciatine a mia madre che purtroppo non capiva o forse non voleva capire, l' unica persona a capirmi, stranamente oltre alla mia amica, era la mia sorellina che per quanto fosse piccola recepiva tutto e si dimostrava spesso come una vera e propria adulta, ed anche se non lo aveva detto palesemente aveva capito ogni cosa. Ripartito per la Spagna ricominciai ad avere qualche storiella, e senza muovere nemmeno un dito “o altro “ ho sfasciato una coppia e, pensate un po’, un matrimonio gay, ma questo non ebbe ripercussione alcuna sulla mia vita in quanto erano solo incidenti di percorso. L'avvenimento che fece venire a conoscenza i miei genitori di tutto, fu la storia con un povero duca che aveva perso tutte le sue proprietà per colpa del patrigno. Diceva di amarmi ed anche io ero perso di lui a tal punto che addirittura cascai come una pera cotta quanto mi disse che avrebbe voluto sposarmi. Mi sentii in dovere quindi di informare i miei di un’eventuale permanenza in Spagna. A telefono mia madre era in lacrime e io non dissi niente, singhiozzavo solo. Le lacrime furono rotte solo dalla mia frase “non è colpa mia”. La risposta di mia madre fu istintiva, disse: "tranquillo". Dopo di che piangemmo entrambi e dopo una specie di chiacchierata fatta da mezze frasi e mie varie suppliche di non dire niente a papà attaccammo il telefono. La mia relazione continuava e siccome l' eventualità di restare in Spagna si faceva sempre più forte e i litigi con mamma per questa mia permanenza aumentavano, venne il momento in cui mamma diede la cornetta del telefono a mio padre e decise di far parlare lui visto che sia lei che zia non riuscivano a convincermi a lasciare tutto e a tornare. Papà sapeva tutto, ed io ne ero sconvolto. Mamma a furia di mantenere questo segreto troppo grande per lei, si era fatta venire l'ulcera e ci stava troppo male e di conseguenza si era sbottonata. A differenza di quello che pensavo, mio padre mi fece un discorso che non mi sarei mai aspettato:

Io ti voglio bene, tu sei il mio sangue tu sei la mia vita, a te ti ho fatto io. Tu per me sei come il mio diamante, sei una pietra preziosa e come tale non mi va che un' altro uomo ti tocchi.

   Intanto io continuavo a chiedergli “scusa”, mi sentivo colpevole di nuovo per come ero, ma questa volta avevo deciso che non avrei anteposto il loro volermi etero alla mia felicità. In effetti il discorso di mio padre che ormai non era quasi più nei miei confronti il padre padrone che avevo sempre avuto, voleva dire che potevo essere gay ma non voleva che nessun uomo mi toccasse. Mi sono sempre chiesto se non ci fosse stata la paura che io non fossi più tornato in Italia come sarebbe andato il tutto.Papà sapeva tutto e non mi aveva trattato come avevo immaginato.
 
   Ero felice però sembrava tutto troppo bello per essere vero e quindi toccò anche a me il morbillo dell' amore, come si dice le corna sono come il morbillo le dobbiamo prendere tutti prima o poi , beh io ne fui il principe, si può dire che il signor duca mi avesse tradito con qualsiasi cosa respirasse compresi i miei due amici, non dico che non me ne fossi accorto, forse solo non ci volevo credere. La notte che ne ebbi la conferma, dopo aver visto decine di messaggi sul suo telefonino, non riuscii a dormire, lui per l' ennesima volta dopo una giornata di lavoro ed una notte passata a festeggiare, era crollato sul letto. Ricordo che mi alzai dal divano e mi misi a fissarlo sulla porta della nostra camera da letto. Erano già le 4 ed io ero stanco di tutto, ad un tratto mi girai alla mia destra e notai il mio autoritratto, che mi avevano fatto fare in facoltà. Io sempre così superbo, ero ridotto ad uno straccio; non mantenni la situazione e mi decisi in fretta e furia, mentre lui dormiva, preparai le valigie e presi uno solo dei miei quadri. Lasciai lì l’autoritratto, non so perché, ma non mi andava di portarlo con me. Sul tavolo della sala da pranzo lasciai un biglietto dove avevo scritto:

ieri ti amavo , oggi ti vedo per il bugiardo che sei

Dissi addio alle mie gatte e in silenzio uscii dalla porta e mi incamminai verso la città, passai a piedi il ponte ed andai da un'amica che aveva internet per prenotare i biglietti e cosi scappai dalla Spagna che, per la legge delle contrapposizioni, dopo avermi fatto il regalo di farmi capire chi ero, mi aveva umiliato distruggendo un sogno. Il tradimento è una bruttissima ferità. Tornato a casa, mio padre, anche se con scarsi risultati, cercava di rimettermi il guinzaglio, ma purtroppo più lui tirava e più io scappavo. Era venuto il momento anche per me del vero confronto, quello tra me e i miei genitori sul mio essere gay. Mi portarono anche da un prete, che non credo si aspettasse che qualcuno lo potesse contraddire così tanto, in ogni caso li misi così alle strette da far capire a tutti che non sarai mai cambiato. A parte mia sorella, i miei fratelli ebbero reazioni negative quando hanno scoperto il mio essere gay, ma non li condanno per questo, mi vogliono bene ed è difficile per loro confrontarsi con qualcosa che si è sempre deriso in casa propria. Una sola cosa sembrava piacere a tutti i miei famigliari; prima che io mi accettassi a pieno, ero spesso effemminato in qualcosa, pur non sentendomi una donna mancata. La consapevolezza ed il non dover nascondermi, mi rese naturale a tal punto da farmi essere come veramente ero dentro, più non volevo essere effemminato per sembrare etero e più lo sembravo, ora che ero gay quel tratto di me stranamente non c' era più.

   Oggi quasi 5 anni dopo tutto sembra essere andato a posto. Sono un semplice ragazzo che ama i ragazzi, sono fidanzato da quasi 4 anni e convivo felicemente con la persona che, tra alti e bassi, mi ha cambiato la vita, ed anche se convivo con lui ed i suoi genitori sessantenni e spesso vorrei scappare, non posso far almeno di essere felice. Sono gay e sono felice con quel ragazzo che molti anni prima mi colpii passeggiando in giro in gita con la scuola tra le strade di Palermo e che quando dissi: “sono bisessuale”, mi rispose “E chi se ne frega”. Anche con i miei i rapporti si sono aggiustati, anzi adesso stravedono per il mio compagno e specialmente mia nonna ne va pazza.

Prima tutto sembrava duro perché, spesso, chi mi additava si dimenticava che io ero anche tante altre cose, è vero ero e sono gay ma prima di tutto SONO IO ...