Altri Mondi - Intervista al sociologo Raffaele Lelleri

Prologo
Ritorna l'appuntamento che apre i martedì del mese e questa settimana Altri Mondi dedica il suo spazio al sociologo Raffaele Lelleri. Con  lui parlermo della sua vita, ma anche del suo lavoro e infine del progretto Arcigay Io sono Io lavoro, coordinato dall'avvocato Michele Giarratano.
Insomma una lunga intervista in cui si parlerà di società, di coming out, di discriminazione e molto altro ancora.
Fracesco Sansone



Intervista al sociologo Raffaele Lelleri

Raffaele ci dici chi sei per conoscerti un po’?
   Sono nato e cresciuto a Pordenone, ho studiato sociologia a Trento e da 13 anni convivo a Bologna col mio compagno Francesco, che ho sposato a Toronto il 14 settembre 2007 (quest'anno festeggiamo le nozze di cera).
Lavoro per un Ente locale, al cui interno mi occupo di immigrazione e di welfare.
Tra qualche settimana compio 40 anni - un traguardo importante, no?, che affronto con serenità e curiosità ;-)
Ho un ricordo ancora vivido del mio coming out, che è avvenuto in famiglia nel lontano agosto 1997.


Congratulazioni a te e a Francesco per le vostre prossime nozze di cera, ma voglio soffermarmi sulla tua ultima affermazione e chiederti come è avvenuto il tuo coming out?
Grazie.
   Contrariamente alla maggior parte dei gay e delle lesbiche che conosco, io ho iniziato a rivelarmi con i miei familiari: mia sorella minore (Donata), e subito dopo mia madre e mio padre. E' stata un po' come una goccia che ha fatto traboccare il vaso, una liberazione, anche se - visto adesso - quell'episodio ha un che di incredibile. E' successo la sera prima del matrimonio dell'altra mia sorella (Marina).
Era già da tempo che andavo da uno psicologo, che mi aveva aiutato a ricostruire la mia vita. Si sposava Marina ed io ero tornato a casa per l'occasione da Trento, dove studiavo e dove mi ero in qualche modo creato una vita autonoma. Io sono il maggiore dei figli e tutto il parentame, che era venuto in visita prematrimoniale, senza pensarci granché, forse in buona fede, di sicuro invadendo i miei spazi, se ne andava con l'augurio: "Beh Raffaele, adesso si sposa Marina, ma il prossimo sei tu".
Questi auguri mi hanno a tal punto messo di malumore, quel giorno, che la sera, prima di andare a dormire, ho sbottato con qualcosa del tipo: "Donata, papà, mamma: almeno voi non ditemi che il prossimo a sposarmi sono io, ché io sono gay".
Non potevo immaginare, quel giorno, che mi sarei sposato anch'io poco dopo, e che - questo curioso! - finora il mio matrimonio è quello che è durato più a lungo tra i miei fratelli ;-)

Che consiglio daresti ai ragazzi che volessero fare coming out e a quelli che hanno paura di farlo?
Prendetevi il vostro tempo, scegliete la vostra strada, preparatevi alla vostra seconda nascita, informatevi e sperimentatevi in ambienti protetti come internet (ai miei tempi non c'erano nemmeno i cellulari, ho dovuto fare tutto faccia-a-faccia!), ma fatelo prima o poi perché potersi esprimere completamente per ciò che siamo è una soddisfazione incomparabile.
Siate realisti ma, contemporaneamente, non fatemi soverchiare dalle difficoltà: la mia esperienza è stata che molte mie più nere aspettative non si sono poi realizzate.
Date tempo a chi lo dite: magari voi vi siete preparati il discorso per un anno, mentre il vostro interlocutore è la prima volta che vi vede con occhi nuovi.
Utilizzate, infine, Internet e le nuove tecnologie, che hanno delle potenzialità fantastiche, ma attenzione a non rimanere imprigionati dentro: rimaniamo, dopo tutto, fatti di carne e di sangue, ed abbiamo bisognod delle persone in carne e ossa.



In quanto sociologo hai avuto modo di studiare i comportamenti degli italiani in questi anni e quindi vorrei chiederti, quanto è cambiato il modo di relazionarsi della gente con il mondo LGBTQ?
   L'Italia è il Paese delle cento Italie: ci sono contemporaneamente diversi mondi che convivono l'uno accanto all'altro (la citta e la campagna, la metropoli e la periferia, il nord e il sud... ); alcuni sono più dinamici ed avanzati sui nostri temi, altri paiono immutati nel tempo.
Allo stesso tempo, va detto che i mass-media hanno raggiunto un'importanza tale per cui se in centro a Milano accade un evento, se ne discute anche nei bar di Floridia in provincia di Siracusa.
Io credo che gli italiani siano cambiati nei confronti delle minoranze sessuali, specie le nuove generazioni: per lo meno ora le conoscono di più, perché sono più visibili. Pochi - magari - ne conoscono faccia-a-faccia; la maggior parte ne ha visto in TV o ne ha letto sui giornali.
Per questo verso, quindi sono ottimista.
Per un altro verso, sono cauto: conoscerle di più non significa necessariamente accettarle maggiormente. Mai come ora, infatti, i gruppi che ci sono contro legittimano la propria omofobia con teorie vere e proprie.
Essere più visibili vale comunque la pena, secondo me, perché, come diceva Gandhi: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci".


Lo scorso Marzo Arcigay, co-finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha dato vita al progetto “Lotta all’omofobia e promozione della non discriminazione sui luoghi di lavoro come strumento di inclusione sociale” cordinato dall'avvocato Michiele Giarrano, che fra le altre iniziative include l’indagine “Io Sono Io Lavoro”. Raffaele, in quanto responsabile scientifico del progetto,  ci spieghi meglio in cosa consiste?
   Il progetto, che è coordinato dall'avvocato Michele Giarratano, si occupa di condizioni di lavoro delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali.
Con il supporto del Ministero, Arcigay ha deciso di investire in questo fondamentale campo della vita di ognuno di noi, attraverso due azioni: un percorso di formazione ed una ricerca sociale.
L'obiettivo è un mondo di lavoro più inclusivo e democratico, dove ognuno possa dare il meglio di se’ senza timore di essere giudicato o persino discriminato sulla base della propria identità sessuale. Crediamo che se tutti potessero realizzarsi a pieno, ne gioverebbero sia i singoli lavoratori, sia le aziende, sia la società nel suo complesso.


Come mai hai deciso di prendere parte a questo progetto?
   Da qualche anno collaboro con Arcigay occupandomi di ricerca sociale sia quantitativa (statistiche) che qualitativa (interviste). Mi sono occupato di sesso, di HIV e MTS, di stranieri immigrati e di persone con disabilità LGBT, anche confrontando l'Italia con altri Paesi.
Qualche mese fa mi hanno proposto di seguire questa ricerca sociale sul lavoro. Ho accettato con piacere, nonostante quello del lavoro fosse un tema di studio nuovo per me. All'inizio ho raccolto e studiato indagini similari realizzate in Italia (molto poche) e all'estero; successivamente, assieme a due colleghe - Laura Pozzoli e Priscilla Berardi - ho impostato "Io Sono Io Lavoro".
Sul sito ufficiale di Io sono Io lavoro, si invita la gente ad inviare la propria esperienza di discriminazione sul lavoro. Per quale motivo uno dovrebbe scrivervi?
La nostra comunità LGBT è spesso invisibile e silenziosa. Noi stessi che ne facciamo parte non ne abbiamo una completa comprensione, anche perché siamo molto diversi gli uni dagli altri. La mia esperienza sul lavoro, e quella dei miei amici, è probabilmente molto diversa da quella delle altre persone che abitano in altre parti d'Italia o in altri comparti.
Per fare una fotografia realistica e dettagliata di chi siamo oggi, abbiamo quindi bisogno del contributo di tutti. Ogni punto di vista è per noi prezioso e da rispettare. Abbiamo bisogno di un piccolo sforzo da parte di ognuno per capire meglio come vivono quotidianamente le persone LGBT sul lavoro.
Ovviamente, garantiamo pieno anonimato sulle informazioni che raccoglieremo, nel rispetto della normativa sulla privacy.


Quante testimonianze avete raccolto fino a oggi, e quale vi ha colpito in particolar modo?
   La ricerca Io Sono Io Lavoro si compone di tre parti: un questionario on-line rivolto a tutte le persone LGBT, alcune interviste a dei testimoni qualificati in tre città (Genova, Firenze e Catania) e la raccolta di storie di vita di persone LGBT discriminate sul lavoro.
Finora abbiamo raccolto: circa 1.600 questionari, una ventina di interviste ed una decina storie di vita.
Non li abbiamo ancora analizzati nel dettaglio. Ciò che emerge è comunque una grande varietà di situazioni e di comportamenti: a fronte di eventi molto drammatici, come ad esempio vere e proprie molestie e licenziamenti, vi sono infatti molte persone che ci raccontano di essere soddisfatte del proprio lavoro e dell'équilibrio che hanno raggiunto.
Una cosa che non abbiamo ancora analizzato e che mi interessa in particolar modo sono le opinioni delle giovani generazioni che studiano ancora: si aspettano di essere trattate iniquamente in quanto LGBT? Fanno le loro scelte finalizzate ad evitare la discriminazione?


Chi subisce maggiore discriminazione fra gay, lesbiche e transessuali nel mondo lavorativo?
   E' una domanda complessa a cui non è possibile dare un'unica risposta, secondo me.
Certamente, molte persone trans vivono un enorme problema di esclusione dal mondo del lavoro.
Più in generale, bisogna considerare anche altre dimensioni, come ad esempio: il comparto (l'industria è diversa dai servizi), l'età, il ceto sociale (essere più o meno ricchi fa ancora la differenza), la zona geografica di domicilio... tutte ipotesi che miriamo di esplorare con la nostra indagine.


Hai mai vissuto in prima persona una discriminazione sul lavoro?

Nella foto Raffaele Lelleri
 con il marito Francesco

   Se ripenso al mio periodo nel mercato del lavoro, devo dire che sono fortunato: non ho mai vissuto esperienze drammatiche di questo tipo.
Certo, lavoro in un ambito dove i rischi sono limitati: mi chiedo se, consapevolmente o inconsapevolmente, ho scelto questo settore anche per tale motivo.
E' una domanda a cui sinceramente non so ancora dare una risposta definitiva.
Lavorando in una pubblica amministrazione, inoltre, ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa il mancato riconoscimento formale della mia famiglia: quando io e Francesco ci siamo sposati, ad esempio, non ho potuto chiedere alcun permesso.


Quindi possiamo dire che in qualche hai subito una discriminazione per mancanza di diritti che riconoscano l’autenticità del vostro legame. Perché, secondo te, in Italia non riusciamo a portarci a livello europeo anche in fatto di diritti civili?
   Penso che ci siano molte cause per questo problema: la classe politica, il Vaticano, il conservatorismo sociale. Io vorrei però sottolineare un aspetto diverso, che ci tocca molto da vicino: contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei Paesi occidentali, in Italia molti gay e lesbiche rimangono socialmente invisibili. Secondo me, questo è un forte limite, perché la gente non si rende conto che le persone LGBT non vivono su urano, non sono delle creature stranissime e lontanissime, ma sono il fratello, la figlia, il loro medico, il loro commercialista, la maestra dei propri figli, il loro amico.


Tornando all’indagine Io sono Io lavoro, ci spieghi nel dettaglio come si svolge il sondaggio?
   Il sondaggio si articola in un questionario anonimo e on-line. Servono max 15 minuti per rispondere alle varie domande, che sono rivolte sia a chi sta lavorando adesso, sia a chi ha lavorato in passato (pensionati), sia a chi lavorerà in futuro (studenti).
La maggior parte delle domande è chiusa, cioè prevede di mettere delle crocette e non delle frasi.
Le domande riguardano vari temi: aspettative, esperienze e opinioni.


Quali altre iniziative sono incluse in questo progetto?
Un corso di formazione per mediatori: persone cioè in grado di riconoscere i casi di discriminazione, di dare una mano e di attivare le risorse del territorio se necessario.
Ci tengo a dire che la nostra non è uno studio accademico, interessato solamente allo sviluppo delle teorie; a noi, invece, interessa evidenziare i problemi al fine di poterli risolvere al meglio.
F.S.