Altri mondi - Intervista a Giulio Spatola

Rubrica: Francesco Sansone
Grafica: Giovanni Trapani
Foto: Gentile concessione di Giulio Spatola
Nella foto: Giulio Spatola
Il protagonista di questo nuovo appuntamento con la rubrica Altri mondi è Giulio Spatola, forse, il Mister Gay Italia più famoso di sempre al quale ho chiesto di rispondere a un’intervista per tracciare un percorso della sua vita personale e professionale.Ovviamente etichettarlo solo come Ex Mister Gay è riduttivo perché Giulio nel corso di questi anni ha messo la sua faccia su campagne, progetti e attività atte a “sdoganare” l’omosessualità nel Paese e in Europa sempre con tenacia e serietà. Un giovane, dunque, che con le sue sole forze ha voluto dare un contribuito alla condizione LGBT e  che ha dimostrato che ogni mezzo è utile per aiutare i gay di ogni età a non sentirsi né soli né i soli.
Confesso che sono particolarmente contento di ospitare Giulio Spatola su Il mio mondo espanso perché ho seguito e ammirato il suo percorso da sempre e preparando questa intervista ho avuto modo di confermare l’idea di un ragazzo in gamba, educato e determinato che avevo di lui. Pertanto vi invito a leggere le sue parole  con attenzione per conoscerlo meglio.
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Nella foto: Giulio Spatola
Giulio, era il 2010 quando sei stato eletto Mr Gay Italia. Che ricordi hai di quell’esperienza e che cosa ha significato per te quella vittoria dal punto di vista personale?
Vincere MrGay Italia è stato qualcosa del tutto inaspettato in un periodo in cui la mia vita mi chiedeva che direzione prendere dopo la laurea. L’attivismo LGBT è stata la risposta per i 3 anni a venire ed è partito tutto proprio da quella fascia tricolore.
Del concorso ricordo la tensione ma anche lo spirito di comunione che si era instaurato con gli altri concorrenti. Ricordo Torre Del Lago, bellissima e vivace come sempre, il supporto del mio ragazzo di allora, che viveva da quelle parti, e le lunghe telefonate con i miei genitori che volevano essere aggiornati sui progressi. In particolare ricordo che mia madre, la notte della finale, mi disse: “Io vado a dormire ma tu, se vinci, chiamami immediatamente, anche se sono le 3 del mattino!” e così è stato. Subito dopo la proclamazione sul palco ho afferrato il telefono e chiamato i miei. La loro gioia, anche se a distanza, è qualcosa che difficilmente ti dimentichi. E questo ci porta a livello personale del significato della vittoria: per me è stato l’inizio del coinvolgimento diretto della mia famiglia nell’attivismo LGBT.
Da quel momento in poi i miei genitori hanno cambiato atteggiamento sul modo di vivere la mia omosessualità: non più come una cosa semplicemente accettata da tenere entro le mura domestiche, ma qualcosa di cui essere orgogliosi anche all’esterno (specialmente quando tuo figlio è sulla prima pagina del giornale regionale e a casa arrivano le telefonate dei colleghi di lavoro curiosi…). Ricordo che qualcuno chiese a mio padre “ma è tuo figlio quello?” e lui, con serenità, rispose “si, perché?”. Quel “si, perché” vale più della vittoria del titolo stesso.

Il concorso è nato nel 1997, ma non dico il falso se affermo che è con la tua vittoria che MrGay Italia ha assunto una certa rilevanza mediatica e che il vincitore è diventato portavoce della comunità LGBTQ.  Per quale motivo hai scelto di scendere in campo e mettere la tua faccia per sostenere i diritti di tutti?
Correva voce che quell’anno il concorso fosse patrocinato da Arcigay e che il vincitore avrebbe assunto il ruolo di “paladino della visibilità gay”. Questa nuova doppia valenza del titolo mi intrigava. Non è un segreto che ho una piccola ossessione per i supereroi (con predilezione per Spiderman) e fantasticavo sull’idea di diventare io stesso un piccolo eroe mediatico. Ricordo che ero colmo di propositi ed iniziative: dal rappresentare una nuova visione dell’omosessuale, quello della porta accanto non necessariamente macchietta da cliché televisivo, al divulgatore di messaggi, come il primo che lanciai dal palco la notte stessa che vinsi il titolo “venite fuori chiunque voi siate” (messaggio rivolto ai personaggi dello spettacolo che ancora oggi mentono sulla loro vera sessualità). Insomma, ero entusiasta ed euforico all’idea di diventare un simbolo e un modello d’ispirazione per tutti quei giovani timorati dall’essere gay in una nazione che non te la rende una cosa facile. Anche se non come avrei voluto (avrei potuto fare molto di più se avessi ricevuto più supporto dalle associazioni) so di esserci riuscito e quando rileggo alcune delle email di persone che ho aiutato direttamente, anche solo con una chiacchierata virtuale, non posso che sentirmi fiero di me stesso.

Come me, anche tu sei nato a Palermo. Com’è stato la tua adolescenza nella nostra città?
Ho vissuto a Palermo per i primi 19 anni della mia vita ed ho bellissimi ricordi della mia famiglia, della mia dolcissima infanzia e di pochi, ma buoni, amici. Purtroppo non posso dire altrettanto della fase adolescenziale, quella subito precedente al mio trasferimento a Roma e che ha come protagonista il turbolento periodo del mio coming out. Come tutte le storie a lieto fine, la mia ha una fase colma di dolore e tristi avvenimenti. Chi, vedendo la mia famiglia applaudirmi sul palco del Palermo Pride 2012, ha pensato che siano sempre state “rose e fiori” per me, si sbaglia. Io la serenità in casa me la sono conquistata con la persistenza, il coraggio e la pazienza verso dei genitori la cui unica colpa era quella di “non sapere”. Perciò i ricordi dei miei ultimi 4 anni a Palermo sono quelli che meno tengo a ricordare ma che hanno fatto di me e della mia famiglia quello che siamo oggi.


Nella foto: Giulio Spatola a Life
In un’intervista a Life, programma di La7, hai parlato del rapporto con i tuoi genitori dicendo che all’inizio non hanno preso bene la tua omosessualità, ma poi, col tempo, l’hanno accettata e i rapporti si sono normalizzati.  Ai ragazzi che mi scrivono parlando dei problemi con i genitori consiglio sempre di dare loro del tempo perché come un gay ha bisogno di tempo per accettare la propria omosessualità anche chi gli sta accanto ha bisogno di tempo per accettarla.  Sei di questo avviso anche tu?
Assolutamente si. Per me è stato così e, come dicevo pocanzi, sono state la pazienza e la persistenza gli strumenti di cui mi sono avvalso durante il lungo periodo di accettazione della mia omosessualità da parte dei miei genitori. Armarsi di rabbia e comportarsi con ostilità non aiuta, anche se è proprio ostilità che riceviamo in certi casi. Fare coming out è un gesto di affermazione del proprio io e, seppur necessario, visto dall’esterno è un atto “egoistico”. Per questo motivo credo che una buona dose di pazienza sia dovuta. Se poi non funziona, se il nostro interlocutore non intende aprirsi a riconsiderazioni, allora suggerisco di non perdere altro tempo e lasciare le cose come stanno. Purtroppo non tutti i genitori, e le persone in generale, sono disposti a cambiare il proprio parere rispetto all’omosessualità, così come verso ogni altra forma di diversità. E’ una condizione generata dal fattore culturale: più profonde sono le radici e meno facile sarà tagliare quelle obsolete.

Tracciamo un percorso dal 2010 a oggi: 2010 vittoria a Mr Gay Italia, 2011 vittoria a Mr Gay Europa, 2012 -2014 assumi la vice presidenza del concorso Mr Gay Europa. Oggi ti ritieni “un attivista in pensione precoce”, ma tutte queste esperienze che cosa ti hanno insegnato e cosa ti hanno permesso di imparare?
È una bella domanda alla quale non posso rispondere se non con qualche riserva personale. Mi limiterò a dirti che dall’esperienza italiana ho imparato a cavarmela da solo nella situazione in cui avevo un titolo da onorare e nessun supporto dall’esterno. Quel che ho fatto con la fascia tricolore è stato limitato e limitante per il titolo stesso (parlo soprattutto del tour in giro per le disco d’Italia – tanto divertimento e poca sostanza). Conseguentemente ho imparato la disillusione.
Ben altra storia è stata il titolo europeo. Oltre a viaggiare all’estero ed entrare in contatto con realtà LGBT diverse dalla nostra, alcune peggiori (vedi in Romania) altre migliori (vedi in Norvegia), quello che più ho imparato è stata l’importanza di esporsi con ogni mezzo possibile: che sia un concorso di bellezza, una sit-com sul web, uno spot in tv o un palco al termine di un Pride. La gente ha bisogno di conoscere quella diversità di cui ha “paura” (con riferimento alla sua valenza di fobia). E’ solo manifestandoci a pieno e alla luce del sole che abbatteremo il muro di ignoranza che genera l’odio e la discriminazione. Una lezione che ho messo in pratica con i titoli di MrGay e che ancora oggi mantengo semplicemente vivendo la mia vita senza maschere, senza mai nascondere chi sono.
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Nella foto: Giulio spatola in una  scena della web serie Vicini
Parliamo di Vicini, una web serie a cura dell’UNAR che ti ha visto sia fra gli attori che fra gli sceneggiatori. Ogni episodio della serie affrontava una tematica diversa al fine di mostrare quanto il pregiudizio crei diffidenza verso gli altri. Come è nato il progetto e c’è qualche aneddoto ad esso legato che ricordi ancora con piacere?
Il mio coinvolgimento nel progetto dell’UNAR nasce dalla commistione tra il mio impegno come attivista LGBT e il mio background di studi cinematografici. E’ per questa ragione che sono stato contattato per entrare a far parte del team di sceneggiatori (e successivamente attori) di Vicini. Ricordo con estremo piacere che il gruppo era formato prevalentemente da ragazzi e ragazze eterosessuali e l’ideazione stessa delle varie puntate della serie ha insegnato a tutti qualcosa in più che non sapevamo sulle discriminazioni in toto. Questo perché, nella fase appena precedente quella della stesura della sceneggiatura, abbiamo ricevuto le visite di personaggi rappresentativi delle varie forme di discriminazione che ci accingevamo a trattare. E’ stata un’esperienza unica che, a mio parere, andrebbe inserita nel programma didattico delle scuole.

Nella foto: Giulio Spatola nello spot del Dipartimento per le pari opportunità
Un altro progetto che ti ha visto protagonista è lo spot istituzionale contro l'omofobia realizzato, sotto la guida di Elsa Fornero, dal Dipartimento per le Pari Opportunità nel 2013. Lo slogan era “Sì alle differenze, no all’omofobia”. Che importanza credi abbiano questi messaggi in una società come quella italiana?
Campagne di sensibilizzazione come quella alla quale ho partecipato sono sicuramente importanti in un Paese come l’Italia, ma purtroppo non sono sufficienti. Serve più coazione e collaborazione con le associazioni di riferimento. Un punto sul quale ho sempre insistito è l’agire in prospettiva futura mirando alle basi della nostra società, una sorta di “investimento sociale”, concentrando l’attenzione sulle scuole e l’educazione. La nostra è una cultura molto rigida e conservatrice, difficile da mutare su un individuo di età media, già formato e soggetto a parametri di giudizio ben interiorizzati: quelle sono radici davvero difficili da estirpare. Trovo più efficace assicurarsi che i più giovani ricevano una “aggiornata” educazione: scevra da stereotipi, meno bigotta e più matura.

Nella foto: Giulio Spatola e Stuart Hatton Jr.

Negli ultimi giorni sei protagonista del servizio fotografico di Graham Martin assieme a Stuart Hatton Jr. Un progetto che credo di abbia coinvolto abbastanza. Ci racconti qualche aneddoto legato al back stage?
L’idea di posare insieme a Stuart è nata per caso durante una delle nostre amichevoli chiacchierate. Entrambi appassionati di Supereroi (lui Superman, io Spiderman), abbiamo voluto unire le forze per promuovere le nostre rispettive campagne sociali. Più precisamente la campagna “So What?” di Stuart (MrGay World 2014) e “Heroes” da me varata durante la reggenza della fascia europea. Il risultato finale è stato molto ben accolto e ci ha dato grande soddisfazione. Personalmente credo molto nel messaggio che entrambe le campagne promuovono tra i giovani: siamo gay e non c’è nulla di male, perciò armiamoci di coraggio e amor proprio e usciamo allo scoperto. Credo sia questo il valore più importante che un MrGay e qualsiasi personaggio pubblico possa/debba trasmettere ai giovani: l’importanza di fare coming out.


Per concludere ti faccio una domanda che formulano spesso anche a me: se dovessi dare un consiglio a un giovane ragazzo gay, cosa ti sentiresti di digli?
Colgo l’occasione di questa domanda per citare uno dei miei monologhi preferiti nel cinema (persino chi non mi conosce bene saprà facilmente indovinare di che film si tratta):

“[…] whatmakes life valuableisthatitdoesn’t last forever, whatmakesitpreciousisthatitends. And I knowthatnow more thanever. And I sayit, today of alldays, to remindusthatTIME IS LUCK. So don’twasteit living someoneelse’s life. Makeyourscount for something. Fight for whatmatters to you, no matterwhat. Becauseevenifwefall short, whatbetter way isthereto live?”

“[…] quello che più dà valore alla vita è che non dura per sempre, ciò che la rende preziosa è che finisce. E io questo ora lo so più che mai. E ho scelto oggi per ricordare a tutti noi che IL TEMPO E’ FORTUNA. Quindi non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Utilizzate la vostra vita al meglio. Combattete per ciò che vi sta a cuore, qualunque cosa sia. Perché anche se non ci riusciamo è comunque il miglior modo di vivere.”

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