Altri Mondi - AIDS: Intervista a Mauro Brambilla

UP Date: 7 Ottobre 2013 Per un'imprecisione da parte mia, l'introduzione e la domanda relativa agli studi, di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, che danno un altro punto di vista sulla malattia, sono stati modificati.
Chiedo scusa a coloro che si sono sentiti messi in discussione dalle mie parole, non era mia intenzione.
Francesco Sansone




Quella di oggi è un'intervista davvero interessante. Protagonista di questo nuovo appuntamento di Altri Mondi è Mauro Brambilla, un uomo che oggi ha 50 anni e che ha vissuto buona parte della sua vita con malati sieropositivi fino a quanto egli stesso non è rimasto vittima della malattia. Da quel momento ha deciso di mettere a servizio degli altri la propria esperienza. Da un po' di anni la sua condizione è passata da sieropositivo a malato AIDS. Con Mauro percorreremo la sua vita, le sue esperienza, ma parleremo anche degli studi, di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, che danno un altro punto di vista sulla malattia. Con questo appuntamento Il mio mondo espanso non vuol far cambiare idea a nessuno, ma credo che affrontare tutti gli aspetti di un tema così importante sia un obbligo per chi vuole fare informazione e cultura.
 
 
Oggi hai cinquant’anni e sei un omosessuale dichiarato che vive la propria vita in serenità con la propria coscienza, ma che ricordi hai del periodo in cui iniziavi a prendere coscienza del tuo esser gay e come hai affrontato tutto quanto?
Nella foto: Mauro Brambilla
A 14 anni, vivevo il risveglio della sessualità e spesso mi scoprivo eccitato prima di sapere perché. Di quel periodo ricordo l'eccitazione negli spogliatoi della palestra della scuola: l'odore (il profumo) dei miei compagni, i loro petti, le ascelle e il loro sesso... era un tormento e qualcuno si era accorto del mio guardare insistente. All'inizio pensavo che gli altri compagni provassero il mio stesso desiderio e quando mi parlavano di quanto li eccitassero le ragazze, pensavo che mi prendessero in giro.
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Il primo ragazzo che ho amato era un compagno scout. Ero totalmente innamorato, ma quando lui si è reso conto del mio coinvolgimento emotivo, mi ha lasciato dicendomi che gli piacevano le ragazze e io ero uno sfogo, un gioco e niente di più.
Ho vissuto gli ultimi rimasugli di sessantotto e di rivoluzione sessuale. Ci si conosceva molto facilmente e l'aids non esisteva ancora, era un periodo beato. Ricordo con nostalgia le vasche che facevamo lungo un viale alberato. Ogni sera eravamo in molti, forse in duecento, a passeggiare e sedurre altri uomini.
Dichiarai la mia omosessualità ai miei genitori quando avevo 16 anni e sono grato loro perché mi hanno accettato senza grossi drammi e anzi ho scoperto la complicità di mio padre. Cercavo modelli omosessuali a cui ispirarmi, ma ero molto angustiato perché vedevo moltissimi esempi negativi e io non avevo nessuna voglia di diventare come loro. Ero un omofobo molto intransigente: gli altri omosessuali mi facevano schifo e giudicavo molto severamente il mio desiderio. Cercavo l'amore della mia vita, ma appena un uomo mi desiderava, io lo giudicavo una checca e smettevo di interessarmene.
A 17 anni sono stato un attivista. L’omosessualità dichiarata era la mia bandiera e fare sesso era un diritto sindacale (quasi un dovere, un'ossessione). Incominciai ad avere una moltitudine di rapporti sessuali con sconosciuti con cui mi incontravo in luoghi nascosti e spesso squallidi, come ad esempio i cessi delle stazioni. Ero diventato molto promiscuo e avevo incontri sessuali anche diverse volte al giorno. Però, nonostante abbia attraversato deserti infiniti di squallore, continuavo a cercare l'amore. A volte mi sono innamorato di ragazzi che mi corrispondevano e ho avuto con loro delle intense relazioni che bruciavano, nel giro di poco tempo, ogni possibile sfumatura, sino a esaurirsi in un’amicizia. Dopo anni di relazioni immature e di insoddisfazione, ho trovato il compagno con cui ho condiviso otto bellissimi anni. Resi pubblica la mia omosessualità in un convegno sull'Aids organizzato dalla Caritas. In quell'occasione presentai l'associazione di volontariato di cui facevo parte e che era nata dall'iniziativa della comunità omosessuale della mia città. A quel convegno c'erano molte colleghe e alcune di loro mi hanno addirittura tolto il saluto. È stato comunque bello essere libero di essere me stesso senza finzioni; anche perdere la stima di persone che mi credevano diverso è stato un bene. Chi rimaneva vicino, mi aiutava ad accettare chi ero realmente.
 
Crescendo hai portato a termine i tuoi studi diventando un infermiere. Un lavoro che per te è molto più di un impiego, è una vera è propria missione. Cosa ti ha spinto a scegliere questo mestiere?
Sono figlio d'arte. I racconti di mia madre, assistente sanitaria ai tempi della seconda guerra mondiale, mi avevano affascinato. Col tempo mi sono accorto che nell’offrire servizio al sofferente, cercavo un rapporto significativo dove si giudicasse solo il mio impegno e non il mio orientamento sessuale. Occuparmi con affetto della sofferenza degli altri mi ha aiutato, dandomi modo di curare me stesso: i pazienti mi insegnavano che anche se ero omosessuale potevo amare con intensità. Certamente essere infermiere professionale è stato uno degli strumenti più utili nella mia vita. Vestivo il mio camice con la stessa emozione che potrebbe avere un sacerdote vestendo la veste sacra, cambiavo addirittura il mio portamento e il mio modo di camminare.
 
Il tuo lavoro ti ha portato a entrare in contatto con una realtà che in quegli anni era ancora nuova e di cui si sapeva poco: L’AIDS. Che ricordi hai del tuo primo incontro con la malattia e con le persone infette?
Lavoravo in pronto soccorso e una coppia di uomini gay aveva il sarcoma di Kaposi. Fui in preda al panico e li mandai con urgenza in una struttura specializzata. Ero così ansioso da peggiorare la paura che già avevano. Ho incominciato a occuparmi seriamente di Aids, per poter sedurre un volontario della prima associazione di Aids in Italia. Ne ero innamorato e, siccome era impegnato a tempo pieno con questa associazione, divenni volontario per stargli vicino il più tempo possibile per poterlo sedurre. Solo in seguito, mi sono reso conto che c'erano i malati di Aids; all'inizio non eravamo certi di quali fossero le vie di contagio e quando visitavamo un malato al suo domicilio, non sapevamo se ne saremmo usciti sani. Avevo paura e mi sentivo impotente. Ogni giorno nuovi malati ci cercavano e la situazione era drammatica. Molti erano gravissimi e morivano nel volgere di poco. Nacque in me il desiderio spontaneo di aiutare quelle persone così poco diverse da me. Avrei potuto essere io al loro posto. Più che per la malattia, soffrivano per la condanna sociale e la solitudine a cui erano stati relegati. Uno di loro, ormai poco lucido a causa della malattia, mi chiese un bacio scambiandomi per il compagno che lo aveva abbandonato. Non ci pensai molto e lo baciai. Quando lo dissi agli altri volontari con cui lavoravo, mi sgridarono abbondantemente.
All'ora l'Aids era così: ti svegli una mattina e non ci vedi più; ti alzi un'altra mattina e scopri che sei paralizzato; ti svegli di notte perché non riesci a respirare e hai la febbre alta; un altro mattino scopri che il tuo fidanzato ti ha abbandonato e il padrone di casa ti ha dato lo sfratto; queste persone il giorno prima conducevano un’esistenza normale, proprio come ognuno di noi, e il giorno dopo dovevano affrontare la vicinanza della morte. Cercavo a ogni costo qualcosa a cui aggrapparmi per difendere me stesso dalla sofferenza sconfinata che mi circondava. La morte fa paura e io volevo nascondermi dietro al mio camice e alle mie siringhe. Un giorno dissi a un mio paziente che volevo aiutarlo, ma che non sapevo come fare, mi sentivo impotente. Gli chiesi di dirmi come potevo essergli utile. All'inizio mi chiese cose banali e pratiche come un bicchiere d'acqua, ma con il tempo diventammo più intimi e mi volle raccontare il senso della sua vita. Lui, come molti altri malati, cercava qualcuno che ascoltasse sino in fondo la drammaticità del proprio racconto senza timore. Cercava un testimone per il proprio testamento esistenziale che era principalmente costituito dalle risposta a tre domande: Sono stato amato abbastanza? Ho amato abbastanza? Sono ancora capace di amare?
 
Negli anni hai avuto modo di entrare a contatto con diversi pazienti e credo che in tanti ti abbiano lasciato qualcosa. Chi ricordi in particolare e soprattutto cosa ti ha lasciato dentro?
Ѐ esperienza comune a chiunque abbia aiutato altre persone quella di ricevere infinitamente di più di ciò che si è potuto dare. Nell'associazione in cui feci il volontario, imparai che quando si supera la propria paura e si ha il coraggio di ascoltare con il cuore aperto una persona che affronta l’avvicinarsi della morte, questa avrà da insegnarci molto. La mancanza di un futuro obbliga a vivere e a amare il presente, inoltre l'emarginazione dona un punto di vista originale. Ѐ importante offrire uno spazio di ascolto affettuoso a chi sta attraversando questo cammino, in questo modo potremo condividere naturalmente la sua saggezza. Mi ricordo di una prostituta tossicodipendente e analfabeta. Era malata e soffriva molto, pensavo sarebbe morta da lì a poco. Le chiesi di dirmi la cosa che più desiderava e che avrei cercato di fare il possibile per accontentarla. Mi chiese di essere ricoverata per non dover prostituirsi e trovare finalmente pace nella sua vita tormentata. Fu ricoverata come desiderava e alla dimissione tornò nuovamente chiedendola di aiutarla a trovare un lavoro. Era una cosa che pensavamo impossibile, ma la mandammo in una struttura di religiose che l’accolse dandole un lavoro che però veniva segretamente pagato da un'associazione di beneficenza. Dopo due mesi ci telefonò la madre superiora pregandoci di far sospendere il finanziamento dello stipendio. Non capii il perché e credetti che l’avessero licenziata o, peggio ancora, fosse morta, ma mi sbagliai! La madre superiora mi disse che la ex prostituta si era trasformata in un'eccellente segretaria sociale che si guadagnava pienamente il suo stipendio. Non è l'unico miracolo della consapevolezza a cui ho assistito. Molti pazienti tossicodipendenti dopo aver avuto modo di raccontare della propria testimonianza a un ascoltatore affettuoso e onesto, hanno riflettuto e dopo anni di buio hanno ripreso la propria vita in mano.
 
Tuttavia la vita è stata beffarda con te perché anche tu sei diventato siero positivo. Come è avvenuto il tuo contagio e come hai vissuto la scoperta?
Lavoravo in un servizio che si occupava di assistere persone ammalate di Aids e noi sanitari facevamo tutti il test ogni sei mesi per confermare la nostra salute ed evitare di identificarci con i malati sino a confondere la nostra identità (super-identificazione). La dottoressa mi chiamò in ambulatorio, credevo avesse bisogno di aiuto e non sospettai niente. Quando mi comunicò che ero HIV positivo ebbi una reazione isterica e mi misi a ridere. Non so perché, ma lo feci. Non ero sorpreso perché sapevo di aver avuto rapporti non protetti con una persona ad altissimo rischio.
Il primo mese dopo la notizia, ero totalmente scioccato, era come essere sulla luna. Incominciai a dirlo ad alcuni amici e pensavo che avrei dovuto smettere di fare sesso. Piano piano, con il passare del tempo, lo stupore divenne più tollerabile e incominciai a fare progetti: il tempo della mia vita stava volgendo alla sua fine e io volevo solo fare le cose davvero importanti e usare pienamente il mio tempo. Mano a mano che mi raccontavo agli altri, la situazione mi appariva più tollerabile e quasi normale. Ogni giorno era la conferma che anche con il virus, si può vivere. Divenivo sempre più sereno.
 
Voglio farti una domanda che spero tu non prenda male, ma voglio che il messaggio in essa contenuta arrivi a tutti. Dopo tutto quello che avevi visto e avevi scoperto della malattia, come hai fatto a non prendere le giuste precauzioni?
Mi sono infettato facendomi penetrare senza preservativo da un prostituto di colore nella Repubblica Domenicana, insomma me la sono cercata con il lanternino. Come ho fatto a commettere una così grave mancanza? Io che insegnavo agli altri ad avere abitudini sessuali sane? Me lo sono chiesto a lungo e riflettendo ho scoperto di essermi esposto a questo rischio estremo per avere una condanna al mio essere gay: ero un giudice omofobo intransigente e senza pietà. Pensai, finalmente, che la pena capitale a cui mi ero condannato era un castigo sufficiente per ricevere compassione e incominciare ad amarmi. E così è stato e dal momento in cui ho incominciato ad amarmi, ho incominciato a crescere e a essere sempre più contento di vivere. Voglio anche dire che per cambiare le proprie abitudini sessuali bisogna avere pazienza, ci vuole amore e comprensione per se stessi, cambiare abitudini sessuali è più difficile che smettere di fumare.
 
Per anni hai convissuto con la sieropositività però di recente la malattia si è evoluta, facendoti diventare un ammalato di AIDS. Questa ulteriore scoperta come ha inciso sul tuo stato d’animo?
Ѐ un processo continuo, scopri che non sei eterno e la morte fa parte della tua vita. Ci fai i conti e vivi intensamente; poi hai un periodo di salute e ti dimentichi che sei mortale e rincominci a riempirti di distrazioni e futilità; poi devi cambiare terapie perché il virus si è abituato e di nuovo ti senti fragile; poi di nuovo sei in salute e diventi di nuovo frivolo; poi ti ammali della tal cosa e di nuovo scopri la tua finitezza e fragilità...
Quando sono molto consapevole, mi sembra di camminare nel quotidiano con i piedi immersi nell'Eternità ed è bellissimo sentirsi vivi. Vivo ogni momento come un grande privilegio, un regalo prezioso e sacro da vivere con gratitudine e pienezza. Ѐ un sentire simile a quando si è bambini in cui ogni cosa è scoperta per la prima volta; è magica, infinita e meravigliosa. Poi ho avuto altri guai gravi e ho potuto ottenere la invalidità civile ed è un inestimabile privilegio: anche se con pochissimi soldi posso vivere con tutto il tempo libero; è come essere in ferie per sempre. La mia regione regala a noi invalidi la tessera di libera circolazione regionale e io me la godo alla grande. Viaggio in tutta la regione in compagnia della mia cagnolina, prendo un mezzo pubblico ogni volta che ne ho voglia e posso sedermi anche se l'autobus è pieno perché ho il posto riservato. Forse ad alcuni di voi queste cose sembreranno banalità, ma se pensate a quanto è prezioso il tempo libero capirete che vivo come un miliardario. Pensateci...
 
Quindi accetti la scoperta della tua malattia e continui a vivere la tua vita il più serenamente possibile, però non ti sei limitato a questo e hai voluto contribuire tu stesso creando qualcosa che potesse arrestare queste epidemia. Di che si tratta?
Veramente oggi non faccio più volontariato, penso però di poter aiutare le persone sieropositive e malate di Aids con la mia testimonianza di profonda serenità e per questo ho scelto di essere testimone pubblico della mia condizione. Una scelta che ho attentamente ponderato e che ha anche delle conseguenze un po' spiacevoli: c'è ancora moltissima ignoranza, paura e razzismo e a volte divento il parafulmine delle paure degli altri. Sono molto solo e ne soffro. Ho scelto di mettere per iscritto alcuni pensieri e di renderli disponibili a tutti. Per il momento potete trovare le bozze qui.
 
Voglio farti adesso una domanda che potrebbe sembrarti fuorviante rispetto a quanto abbiamo detto fino a ora, ma non posso non trattare il discorso visto che è qualcosa di cui si parla già da tempo e che io stesso ho approfondito in questo blog. Secondo alcuni studi dimostrabili con pubblicazioni reperibili ovunque e di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, sembrerebbe che il virus dell’HIV di fatto non esista. Tu di che avviso sei?
Avrei preferito non rispondere a questa domanda, vedi Francesco, purtroppo i due movimenti di opinione contrapposti, che difendono l'assenza del Virus uno o la validità delle terapie l'altro, si fronteggiano con grande fanatismo come le tifoserie di due squadre di calcio. Il fanatismo fa perdere la testa: se l'interlocutore è di un'altra squadra, tutto quello che ha detto, dice o dirà, non ha nessun valore e non viene più ascoltato. Parlerò, quindi, solo della mia esperienza diretta, di ciò che ho vissuto in prima persona e ho visto succedere ai miei amici.
All'inizio, quando il medico mi ha detto che ero sieropositivo, ho rifiutato inconsciamente la notizia e non ho voluto saperne di intraprendere le terapie. Comprendo perciò la posizione dei miei amici che hanno abbracciato la tesi degli scienziati che dicono che il virus non esiste. Sei anni dopo aver scoperto la mia sieropositività, il mio compagno, anche lui sieropositivo, ha voluto curarsi e io ho seguito il suo esempio. Oggi sono fermamente convinto che le nuove terapie combinate hanno migliorato moltissimo le aspettative e la qualità della vita di noi sieropositivi e malati.
Una volta ho provato a dire la mia esperienza in un blog di persone che credono nelle teorie negazioniste (cioè che negano la esistenza del virus HIV) e sono stato oggetto di scherno e di sarcasmo violento. Sono perciò arrivato alla conclusione che sia inutile e controproducente un confronto sul tema essendo gli animi così accesi e le posizioni ormai cristallizzate. Voglio sottolineare, però, che sulla scelta di seguire le terapie oppure non fare niente perché il Virus è una bugia, ognuno di noi si gioca la vita, dunque in ogni caso è una scelta che merita rispetto qualsiasi essa sia. Ho conosciuto molti malati di Aids, prima e dopo l'arrivo delle terapie moderne. Prima i reparti di malattie infettive erano così pieni da dover rimandare a casa pazienti molto gravi per mancanza di posti letto. Con l'arrivo delle terapie combinate è come se si fosse spento un interruttore, chiuso un rubinetto e dall'oggi al domani i reparti di malattie infettive si sono svuotati perché i pazienti stavano meglio e adesso si trovava posto anche per ricoverare pazienti sieropositivi con banali dermatiti. Vivere da sieropositivo, e ancor più da malato, è certamente difficile ma quando ho accettato di sfidare la sciagura della mia malattia, ho scoperto anche degli aspetti estremamente positivi che mi sono serviti a trasformare l'Aids nella migliore opportunità della mia vita. Ho imparato un modo più autentico di vivere e ho sviluppato un punto di vista che i sani e i normali non riescono a immaginare. Vivere con la malattia mi ha insegnato a fare pace con me stesso e con la mia omofobia, finalmente ho incominciato a volermi bene. Vivere con l'Aids è difficile ma non impossibile e io lo sto facendo (sorride, ndr). Per chi desidera approfondire gli studi sulle origini dell'Aids, segnalo questi due link: wikipedia e youtube. Segnalo anche, che tutte le associazioni per la lotta all'Aids che conosco, raccomandano di assumere le terapie antiretrovirali indicate dall'infettivologo. Oggi le terapie antiretrovirali sono abbastanza tollerabili e semplici da assumere. Vorrei invitare ogni persona sieropositiva o malata, a una riflessione profonda perché su questa scelta, noi sieropositivi, ci giochiamo la Vita!
 
Che messaggio vuoi dare ai ragazzi che ti leggeranno?
Vorrei invitare tutti a vivere con pienezza, amando sempre la vita. Se pensate che vi manchi amore, potete cominciare voi ad amare la vita e avrete dei risultati miracolosi. Non sprecate energie a mentire conducendo una doppia Vita ma usate tutte le energie che avete per essere voi stessi. E se vostro padre vi picchia e vi butta fuori di casa, non abbattetevi perché imparerete a dover contare su di voi e a essere vivi e a non pensare più al suicidio. Vostro padre spenderà il suo tempo a rodersi il fegato, voi lo userete vivendo. Non abbiate paura.
 
Per finire, hai qualche rimpianto e se sì quale e perché?
Credo che vivrei tutto quello che ho vissuto, forse mi sarebbe piaciuto essere più coraggioso in amore e aver provato meno rabbia. Per ciò che riguarda l'essermi infettato, vorrei non averlo fatto, e aver imparato la saggezza e la serenità, senza doverne morire, ma, si sa, per diventare domatori di tigri, non si può rimanere seduti in poltrona.
 
Rubrica: Francesco Sansone
Grafica: Giovanni Trapani
 

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