"Andare via" Racconto breve di Toby

Anteprima
Questo giovedì mi riposo e lascio lo spazio, che solitamente è dedicato ai racconti brevi, a Toby, un lettore del blog, che mi ha inviato un suo racconto e che sono lieto di pubblicare.
Non mi resta che augurarvi buona lettura

Francesco Sansone


P.S. chiunque voglia inviare il suo racconto di vita... gay o anche un tuo racconto puoi farlo come sempre su raccontidivitagay@hotmail.it


Altri Mondi:
 "Andare via" di Toby

Era irritata e durante tutto il viaggio di ritorno dal corso si era rifiutata di parlare. Ma ora, giunti a casa, doveva dirglielo.
Appoggiò bruscamente la borsa sulla tastiera chiusa del pianoforte con il proposito di generare un rimbombo della cassa armonica. Sapeva che così lo avrebbe provocato.

-Se non ti apri, non conoscerai nessuno e ti isoli! È da tanto che cercavi qualcuno che giocasse a tennis. O no?

Sbottò Simona infuriata.

-Cosa vuoi? Lo sai no che in fondo l’ha fatto senza esserne stato tanto convinto. - Rispose impulsivo Federico, aggiungendo a mo’ di sfida – Lo ha fatto tanto per fare un piacere a te e a Elisabeth che insistevate tanto. Lo avete spinto voi!

-No. Non credo proprio.

Lo rimproverò, guardandolo fissa negli occhi.
Alle sue manifestazioni improvvise di collera e risentimento atavico Federico si era ormai abituato e rassegnato da tempo. Simona, infatti, non aveva ancora digerito tutta la faccenda dell’ultimo anno. In fondo ogni presupposto era buono per rinfacciargli di aver accettato in punto e bianco, senza averla consultata preventivamente, l’inaspettato trasferimento di sede.

-Non hanno interesse a degli stranieri come noi!

Riprese Federico tentando una giustificazione.

-Ancora questa storia? Basta! Lo sai pure tu che sono loro stessi che si considerano stranieri qui da quando si sono trasferiti. - Aggiunse scandendo la voce - e hanno più difficoltà loro di integrarsi qui nel loro stesso paese. Non hai un briciolo di sensibilità! Sei un egocentrico. Ti manca l’affinità. Sei un egoista senza pudore. Pensi solo a te!

Simona ci teneva ad intraprendere un’amicizia con la coppietta – a sua definizione “con alto potenziale di compatibilità” - appena conosciuta. Cercava a tutti i costi di creare una nuova rete di conoscenze e amicizie ma non era facile. Per i rapporti sociali, infatti, il nuovo paese si rivelò una vera e propria catastrofe. “O sei iscritto in una qualche associazione o corso di svago o non conosci nessuno!” considerò una volta quando ormai l’entusiasmo iniziale per la nuova carriera e la nuova cultura si indeboliva al ritmo della routine quotidiana.

-No, basta. Federico, sei tu che non vuoi amici. Non avrai mai un amico, un confidente! Sei strano. Un maleducato, ecco quello che sei!

Dopo una breve pausa per riprendersi, continuò con un’intonazione alterata:

-Hai rifiutato il suo invito con quel modo snob tanto stupido. Philipp ci è rimasto proprio male. Ormai è stufo dei tuoi modi dell’ultimo periodo. Ma che risposta del cavolo è stata? Non pensavo che saresti arrivato a tanto. Hai visto la smorfia che ha fatto Elisabeth? Che figuraccia!

Era stato imbarazzante il tono sfrontato di Federico quando aveva rifiutato quell’invito tanto spontaneo di Philipp. Ma Federico si sentiva fiero della risposta data, perché così è riuscito a inviare un inconfutabile segnale di ripudio della sua simpatia. Lo ha fatto in tutta consapevolezza, senza sconforto o pentimento apparenti. Ed era soddisfatto, ora, soprattutto di essersi finalmente liberato di lui.
Alla prima lezione del corso di ballo, Federico non lo notò nemmeno. Philipp gli dava l’aria di una persona ingenua, non molto matura e piuttosto superficiale, soprattutto quando, durante le pause, parlava del suo lavoro e della sua passione sportiva esotica, la pallamano.
Nell’arco di quel semestre di corso, con la complicità delle mogli, Federico e Philipp si conobbero di più e la semplice conoscenza si prospettava a diventare un’amicizia. Le mogli andarono sempre più d’accordo scambiandosi confidenze e incontrandosi anche di giorno.
Era buffo sì all’inizio del corso osservare Philipp, impacciato, che storpiava i passi. Era divertente vederlo come cercava di correggere la postura o l’andatura, convinto di apportare migliorie. Scrutarlo così era spassoso e gli somministrava quell’effetto sedativo e dilettevole che procura la contemplazione delle onde del mare a chi, in piedi sul bagnasciuga, si lascia abbagliare dal riverbero della luce intensa e riscaldare dal caldo vigoroso del sole sulla pelle; pensieri, timori, ricordi si disfano. La mente cade in uno stato onirico che rischia però un brusco risveglio nell’istante in cui, disattento, si ritrova con i piedi bagnati da una fredda onda inaspettatamente più grande.
Quel corpo in movimento, robusto e imponente, avvolto nelle braccia della silhouette minuta di Elisabeth, con il passare delle settimane turbava Federico, lo distraeva e gli impediva ogni prudenza, ogni ponderazione e raccoglimento interiore per ristabilire la sobrietà e il controllo dei suoi sensi.
Le risate divertite iniziali infatti di Federico si tramutarono in muti sorrisi, in contemplazioni nostalgiche per poi assumere le vesti di pianti di sconforto e terminare in urla di disperazione.
Nonostante l’ostinata cocciutaggine di negare e minimizzare tutta la situazione, Federico dovette sì riconoscere a se stesso che Philipp esercitava un fascino indefinibile su lui e che, quando gli parlava con quel buffo accento da tedesco orientale, inspiegabilmente pendeva dalle sue labbra, senza riuscire a interagire perché non ascoltava quello che diceva ma semplicemente lo osservava. Osservava intensamente, sordo ad ogni suono, le mandibole squadrate, gli occhi profondi ornati da sopracciglia bionde e sottili e, quando si rosicchiava l’unghia, gli osservava - con fare noncurante - le mani possenti.
Si rese conto di quanto fosse diventato importante e indispensabile per lui e il suo benessere interiore quando, per un paio di lezioni in quel semestre, capitò di non vedersi.
Doveva pensare a lui ogni giorno, ossessivamente in ufficio, in mensa, in macchina, a casa, al letto.
Sentiva che stava perdendo l’autocontrollo e non poteva permetterselo. Nemmeno questa volta voleva accettare e ammettere a se stesso cosa gli stava succedendo. Sapeva solo che era arrivato il momento di porre fine a questo tormento interiore quanto prima.
Al termine del corso quella serata, Federico colse la palla al balzo.
Al pronunciare risoluto il fatidico rifiuto “Mi sa che una partita a tennis con un principiante non è per me. E voglio essere chiaro Philipp: sei noioso e non avrò tempo libero per te!” le mogli scossero la testa, stupite, oltraggiate e disgustate. Si lanciavano fugaci sguardi imbarazzanti cercando comunque di simulare un sorriso abbonente di convenienza. Ma l’atteggiamento fiero di Federico e il suo tono palesemente sprezzante soffocarono un qualsiasi spiraglio di riscatto o rimedio. Philipp rimase interdetto, a bocca aperta, per un istante. Seguì istintivamente un suo movimento della testa quasi impercettibile di diniego.
Dominò un silenzio solenne nella loro cerchia che concorreva con il chiasso delle altre persone nella sala da ballo che si salutavano, si vestivano o si scambiavano quattro chiacchiere. Furono interrotti dall’arrivo di un’altra coppietta che si fermò da loro per il saluto. Le donne intrapresero a commentare insieme la lezione appena terminata. Simona ed Elisabeth intervenivano senza vigore. Gli uomini si scambiarono una stretta di mano accompagnata da una battuta spiritosa del terzo, obbligando – per pura solidarietà formale - Philipp e Federico a sforzare le labbra per mimare un sorriso.
Il cuore di Federico batteva forte, l’animo era turbato ma si costringeva in quel momento a reprimere ogni cenno di inquietudine o nervosismo. Dopo il saluto, Federico abbassò gli occhi. Si sistemò la giacca e sollevando artificiosamente la manica scoprì l’orologio sul polso, segnalando con un’espressione di impazienza a Simona e agli altri due che era giunta l’ora. L’ora di andare via.