Il vecchio e la panchina

Premessa dell'autore

Continuo oggi con la serie di racconti ispirati dagli incontri per stada. Oggi è la storia di un vecchio signore che vi racconto. Naturamente il racconto è nato dalla mia fantasia, suscitata da quell'incontro con quel vecchietto seduto su una panchina tutto solo e con una grande malinconia emanata dagli occhi. Come nel caso di "Lei", le sensazioni che si sono innestate son state molteplici e quello che segue è il resoconto di tutto ciò.
Buona lettura
Francesco Sansone


Il vecchio e la panchina

Non c'è giorno che passa in cui quel vecchio non va in quella villa a guardare il passaggio delle persone che, nella loro routine quotidiana , passano velocemente per recarsi ai loro impegni. Lui, il vecchio, come unico impegno ha l'andare a trovare quella panchina ogni giorno alle cinque del pomeriggio e non c'è causa o motivo che gli faccia perdere quest'abitudine.
Ogni giorno alle cinque è lì. Anche oggi che fa freddo e ogni tanto cade qualche goccia sulla sua testa è seduto a guardare la gente e ogni tanto si perde nei meandri dei suoi ricordi che lo riportano alle sue numerose primavere andate. Ricorda i giorni a lavoro, i giorni con la sua amata sposa, che ormai l'ha lasciato da solo. Pensa anche ai giorni in cui da ragazzetto andava girovagando per strada alla ricerca di un po' di svago, ma più le primavere riaffiorano sulla sua mente, più la solitudine e la tristezza si fa spazio in lui.
Accavalla le gambe e poggia un braccio sulla sua panchina, quando guarda passare un giovane che gli ricorda il lui di molti anni prima. L'osserva con attenzione e, benché gli abiti sia diversi dai suoi, in lui si riconosce. Riconosce il suo modo di camminare, quel sorriso sul viso, quella luce negli occhi che sprigiona la voglia di arrivare, di diventare qualcuno in questa società. Il vecchio si lascia scappare un sorriso e il giovane si volta e lo guarda, con uno sguardo di pena per quel vecchietto solo sulla panchina, e ricambia un sorriso che presto sarà passato perché il cammino del giovane non si arresta.
Sono le cinque e trenta quando dalla borsetta estrae un pezzo di pane e inizia a mangiarlo. Alcune briciole cadono sulla panchina, ma lui non le sposta come se con quel gesto volesse condividere il suo spuntino con la sua unica compagnia. Stessa cosa avviene con l'acqua di cui lascia cadere qualche gocciolina. - Torno subito - dice alla panchina quando si alza per recarsi al cestino più vicino per gettare la carta che avvolgeva il pane. Quando torna, accende una sigaretta e tra un'aspirata e l'altra ritorna a pensare e questa volta si sofferma al suo primo incontro con la panchina. Era un giorno come oggi, faceva freddo e di tanto in tanto cadeva qualche goccia sulla sua testa. Il vecchio era addolorato, perché solo pochi giorni prima aveva perso la sua amata ed era uscito per non restare solo in quella casa che per anni era stata la reggia dell'amore e che adesso era divenuta reggia di solitudine e dolore. Era uscito dunque per respirare un po' di aria fresca e quando fu di fronte a quella panchina ebbe un istinto quasi inspiegabile di sedersi un po' lì e lo fece. Restò dalle cinque alle sei e da quel giorno andò ogni pomeriggio lì. A quella panchina il vecchio il primo giorno raccontò tutto il suo ultimo periodo di vita e si sentì ascoltato, così come quando tornava da lavoro e c'era Anna, sua moglie, ad ascoltarlo in silenzio per non perdere neppure un solo particolare del racconto sul suo sposo, per poi, alla fine del resoconto, dirgli "dai non fare così, vedrai domani andrà meglio", oppure " Hai visto, oggi è andata meglio". Naturalmente la panca non poteva rispondere ai suoi racconti, e lui lo sapeva, ma non voleva privarsi di sentirsi dire quelle frasi e quindi con un coltellino le incise sul legno tinto di verde, in modo da sentirsi consolato.
Sono le sei ed è ora di rientrare a casa, il vecchio si alza, si aggiusta il cappotto, si gira verso la panchina e dice "Ciao Anna, ci vediamo domani" e si incamminò.