Un Natale come gli altri
Che aria fredda che spirava da
Nord! Era proprio vero Dicembre era arrivato, e con questo ultimo mese entrava
a pieno regime il freddo pungente di questa stagione. Il naso, allo
schiaffeggiamento del vento gelido che mi colpiva ripetutamente il volto,
pizzicava e cosi istintivamente faceva sì che mi portassi una mano a coprirlo
per paura che uno sternuto potesse esplodere improvvisamente. Ero appena uscito
dal negozio in cui lavoravo per recarmi a casa. alzando gli occhi al cielo
finalmente potevo ammirare le prime luminarie natalizie accese che addobbavano
i negozi.
È cosi bella la sensazione che si
prova a vedere tutte queste luci colorate che danno vita a decorazioni e
disegni particolari, attinenti al tema natalizio che si sta per vivere da lì a
pochi giorni. Tutte quelle lucine regalano calore quasi come cercassero di
combattere da una parte il freddo insidioso della stagione e dall’altra parte
l’apatia di colore che vige in questo periodo dell’anno.
Un moto nel cuore mi colpì in
quel momento: avevo dimenticato cosa si provasse a respirare l’aria natalizia
ed era già passato un anno dall’ultima volta che vedevo quello scenario
colorato e festoso, per non dimenticare che adesso potevo rifare l’albero a
casa donando un po’ di quel magico colore anche al mio focolare domestico.
Non potevo proprio lamentarmi quest’anno;
avevo davvero tutto quello che cercavo;
un lavoro che mi permetteva di
tirare avanti, certo non il lavoro dei miei sogni ma almeno potevo con quello
pagare le bollette e togliermi anche qualche sfizio; una casa accogliente dove
andare a dormire, ovviamente non paragonabile alla reggia di Caserta e nemmeno
ad una “casa normale”, ma il suo bagno e la sua cucina assimilata alla stanza
da letto, assimilata al salone, assimilata allo studio, l’avevo, e potevo dire
che era “mia”; avevo trovato anche un ragazzo da un anno a questa parte, certo
non posso dire che rispecchi l’uomo dei miei sogni ma a suo modo mi faceva
sognare e questo a me bastava; peccato che era sfuggente come un’anguilla.
Quella sera avremmo dovuto
passare la serata insieme, una delle nostre serate usuali; una cena veloce, un
film accoccolati nel divano-letto che non avremmo mai finito di vedere perché
presi dalla passione facevamo tutt’altro per poi chiudere gli occhi e
risvegliarci abbracciati la mattina dopo.
Vibra il cellulare, sicuramente è
un suo messaggio che mi chiede cosa mangiare e se deve portare qualcosa:
“ciao orco! Purtroppo stasera non
potrò raggiungerti al nido! Chiamami quando leggi il messaggio! Un bacio sul
sedere!”
Come non detto, i piani sono
saltati! Decido quindi di chiamarlo:
-
Orco! Sei uscito prima da lavoro allora!
-
Già! Il tiranno ci ha fatto la grazia di
lasciare le prigioni prima del previsto, non è entrato nessuno oggi! Ma come
mai non vieni?
-
Perché il mio tiranno vuole gli straordinari e
quindi farò tardi oggi, noi le prigioni qui le vedremo fino alle dieci, c’è da
fare l’inventario!
-
Che palle! Allora io ne approfitto per fare
l’albero! Ci sentiamo quando esci da lavoro?
-
Va bene dai, altrimenti quello stronzo viene con
la frusta!
-
Se se, immagino quanto tu possa essere scontento
se accadesse questo! Non è che state facendo festa!? Del resto si inizia sempre
cosi per insabbiare le porcate!
-
Magari! Almeno mi sentirei più felice di stare
in questa topaia a sgobbare!
-
Buon lavoro stronzo!
-
Anche a te orco mio!
E così era deciso, ciò che volevo
rimandare al domani lo avrei fatto stasera.
Tornato a casa decisi di uscire
dal magazzino del vicino, più benestante di me, le mie cianfrusaglie natalizie,
poche, ma deliziose, e mettermi al lavoro per fare l’albero di Natale e
mettermi al passo con i decori stradali.
Dopo un’oretta passata a smistare
le luci buone da quelle non più funzionanti e raccogliere le poche palline accumulate
durante gli anni, il mio albero era già montato e acceso facendo la sua bella
figura sul ripiano della cucina che divideva gli ambienti della stanza. Lo
guardavo ammirato e gioioso, perché anche se quell’anno le cose erano le
stesse, l’albero sempre uguale, la casa piccola comunque, mi sentivo di
possedere tutto!
Senza nemmeno accorgermene mi
addormentai fissando le luci dell’albero che scintillavano gioiose colorando le
pareti di quella stanza.
Mi sono risvegliato di
soprassalto sentendomi vibrare il sedere: era Mario, ma che voleva da me alle… cazzo
erano le due, e Francesco non mi aveva più chiamato uscito da lavoro.
Mario era un mio amico che
sentivo di tanto in tanto, ci eravamo persi un po’ di vista nell’ultimo periodo
presi dal lavoro e dalle nostre rispettive vite sentimentali. Ero cosi stanco e
preoccupato per Francesco che non si era fatto sentire che evitai di
rispondere. Alla seconda telefonata però decisi di rispondere, lui non è stato
mai cosi insistente:
-
Pronto?
-
Eih Dani! Dove sei?
-
Sono a casa Ma’! Stavo dormendo!
-
Ok senti sto venendo a prenderti!
-
Eh? Ma sono le due Mario! E poi non mi va di
uscire vorrei rimettermi a dormire, non ci possiamo sentire domani?
-
No Dani, devi venire con me! Non ti Allarmare ma
Francesco è in ospedale!
-
Cosa??? E come fai a saperlo? Ma in quale ospedale
si trova? Come sta?
Sentivo il sudore iniziare a
scolarmi sul viso e insieme a quello le lacrime si confondevano e si univano in
un unico liquido, ero entrato totalmente in panico, non sapevo cosa fare e mi
sentivo paralizzato a guardare l’albero che continuava a brillare con le sue
luci colorate ma che non riusciva più a trasmettermi serenità e calore.
-
Ascolta Dani non ti allarmare, ti sto venendo a
prendere sono quasi sotto casa tua vestiti e aspettami giù
-
Ok, ok!
Detto questo chiusi la chiamata e
mi sono accorto che non ero nemmeno svestito, ho preso solo le scarpe che ho
cercato di infilare saltellando per casa e nel modo di saltellare sono riuscito
ad afferrare sia le chiavi di casa che il cappotto e sono sceso nell’androne ad
aspettare Mario che sarebbe passato tra qualche minuto per portarmi da
Francesco.
Arrivati in ospedale la realtà
che mi si presentava agli occhi non era per niente delle più rassicuranti.
Francesco aveva avuto un bruttissimo incidente, nella strada che lo portava al
Fuego, una discoteca poco fuori città, ci era andato con un ragazzo, un collega
che non conoscevo e fu proprio lui a raccontarci dell’accaduto. Mario si
trovava da quelle parti con il suo compagno per andare a ballare e vedendo la
macchina di Francesco, in mezzo allo strada con i vetri frantumati ha fermato
la macchina e si è accertato fosse proprio lui ad avere fatto quell’incidente.
Gianpiero il ragazzo che stava
con lui, aveva riportato poche ferite e ci stava raccontando piangendo quello
che era successo pensando fossimo amici di Francesco.
-
Eravamo un po’ brilli – ci disse a bassa voce e
singhiozzante - stavamo andando a festeggiare la sua promozione e… eravamo cosi
felici, avevo finalmente trovato l’uomo della mia vita… lui non si riprenderà
facilmente…lo so…
Io non riuscivo più a sentire
altre parole…”avevo trovato l’uomo della mia vita”… solo questa frase mi
rimbombava in testa, non so perché non mi presentai a lui come il ragazzo di
Francesco.
“avevo trovato l’uomo della mia
vita”
“avevo trovato l’uomo della mia
vita”
“driiinnnnnn, driiiiinnnnnn”
Mario mi stava scuotendo la
spalla:
-
Dani!! Il telefono!
Risposi senza distogliere lo
sguardo dal vuoto
-
Dani! Dani?? Sono Adele!
-
Adele ciao!
Era la madre di Francesco: avevo
stretto con lei un rapporto amichevole da quando suo figlio l’aveva messa al
corrente del fatto che io ero il suo partner, l’unico a quanto pareva.
-
Ascolta Dani, devo dirti una cosa! – e dicendo
questo ho sentito un singhiozzo provenire dalla sua voce
-
So tutto Adele! Sono nell’atrio del reparto!
-
Come faremo? Il mio povero Francesco! Vuoi
venire? Ti vengo incontro e andiamo da lui?!
-
No Adele è meglio che andiate voi! So che in
questi casi non è il caso di affollare il reparto, mi faccio sentire per avere
notizie, rimango qui!
-
Va bene tesoro! Ti saprò dire qualcosa dopo
l’operazione!
-
A dopo!
Mario e
Gianpiero avevano sentito tutta la telefonata e mi avevano chiesto cosa fosse
successo:
-
Dopo l’operazione sapranno dirci di più! Mario
io vado fuori!
Detto questo presi il mio
cappotto che giaceva come uno straccio vecchio in una sedia vicino a Gianpiero,
e non potei fare a meno di incrociare lo sguardo di quel ragazzo disperato
perché l’amore della sua vita doveva subire un’operazione e non si sapeva se
sarebbe rimasto zoppo o peggio. Non riuscivo ad avere rabbia nei suoi
confronti, e probabilmente nemmeno verso Francesco anche se mi sentivo deluso
dalla vita e da quel Natale che doveva essere diverso dagli altri e che per
certi versi lo era davvero. Le parole che ho rivolto a Gianpiero uscivano da
sole prima che mi girassi verso l’uscita:
-
È il caso quando questa storia sarà finita che
vi facciate una bella chiacchierata tu e Francesco! Se poi vorrai prenditi cura
di lui!
A quelle parole Gianpiero guardò
Mario con un punto interrogativo grande quanto l’intero ospedale e Mario si è
trovato nella grande difficoltà di non sapere chiarire a quel ragazzo le parole
di quella sfinge quale decisi di essere in quel contesto.
Scesi gli scalini del reparto mi
sono sentito chiamare da Mario:
-
Dove te ne stai andando?
-
A casa, qui non ho più niente da fare!
-
Ma sei a piedi, ricordi?
-
Non è un problema, io le gambe ancora ce le ho e
mi funzionano bene!
-
Sei sconvolto Dani! Dai ti accompagno a casa!
-
No grazie amico! Voglio andare a piedi,
tornatene a casa, ci sentiamo domani, o tra qualche giorno!
Ho lasciato Mario cosi interdetto
che sentivo si era fermato a guardarmi mentre camminavo lungo il viale alberato
dell’ospedale in una calma apparente e terrificante. Arrivato alla piazzuola
d’entrata mi sono fermato a guardare il grande albero che era stato decorato
per Natale. Le sue luci bianche davano speranza ai malati che si ritrovavano a
dover passare li le loro giornate, lontani dalle loro famiglie e dalle loro
case accoglienti.
Sono rimasto a guardare
quell’albero forse per una mezz’oretta piena, fino a quando qualcosa non mi
spingeva la gamba per attirare l’attenzione. Abbassando lo sguardo verso terra
ho notato un cagnolino che con il muso cercava di spintonare la gamba come per
chiamarmi. I suoi teneri occhioni scuri ebbero l’effetto di un milione di
lampadine di Natale, il mio cuore ricominciò a sentire un calore
incontrollabile, non scottante, bensì armonioso, avvolgente, che mi faceva
sentire bene!
Fu cosi che Natalino, cosi
chiamai il mio nuovo compagno di vita, soppiantò con un solo sguardo la mia
tristezza per la fine di un amore con un calore travolgente. Alla fine ho
capito che dovevo solamente appagare il mio bisogno di dare amore, e un cane
difficilmente tradisce la fiducia riposta!
Ed è stato un grande amico, ha
saputo anche mandare a quel paese Francesco quando cercò in tutti i modi di
chiamarmi per provare a spiegare!
Rubrica: Gianni
Grafica: Giovanni Trapani
Molto bello, complimenti!
RispondiEliminaGrazie!! =)
RispondiEliminaA presto,
Gianni