Numero Zero33 - Un epilogo naturale


Prologo
Come sapete tutti, settimana scorsa ho dovuto abbandonare il blog per gravi motivi famigliari. Nella puntata di oggi di Numero Zero voglio raccontarvi cosa sia successo in quei tre giorni, perché mi piace avere questo filo diretto con tutti voi, anche perché voi lo avete con me. Prima di lasciarvi ci tengo ancora una volta a ringraziare Awkawd, Russel, (In)consapevole e S-kraM per i loro commenti, sappiate che mi hanno toccato molto.
Adesso vi lascio e voglio ricordarvi ancora una volta che domani verrà pubblicata la puntata che settimana scorsa è saltata di Un nuovo mondo.
A presto
Francesco Sansone








Un epilogo naturale

Nell’articolo di oggi sono presenti nomi di fantasia, gli stessi usati nel mio libro per parlare dei personaggi presenti anche in questo articolo.


Chi ha letto il mio libro sa quali siano i rapporti con i parenti di mio padre, per chi non lo avesse letto per dirla in breve non sono proprio belli, anzi sono inesistenti. Perché questa precisazione? Perché la motivazione che mi ha impedito di curare i blog la settimana scorsa riguarda proprio loro.

Era martedì mattina. In casa c’eravamo solo io, Giovy e mio fratello, che era tornato in città per poter passare il compleanno con la figlia che compie gli anni proprio il giorno di San Valentino. I miei genitori, invece, erano usciti per sbrigare delle commissioni. Io ero al PC per fare la mia quotidiana rassegna stampa fra siti, blog e con le cuffie alla testa ascoltavo qualche canzone di Fabrizio De André per riprendermi dal sono in maniera molto soft. Non appena termina la riproduzione dell’ultima canzone inserita nella playlist, sento squillare il cellulare di mio fratello. Non ho badato molto al suo suono e ho continuato il mio leggere quotidiano. Mi sento chiamare e girandomi, vedo mio fratello di fronte, quasi imbambolato, incredulo. “Ė morta la nonna”, dice con un tono che fa trasparire tutta il suo dispiacere. Sentendo quelle frasi,mi sono girato verso il PC e guardando lo schermo ho detto “capisco.” Mio fratello non si aspettava quella risposta e lo ho avvertito. Ho distorto lo sguardo dallo schermo, per tornare ad osservare lui

- Non riesco a dispiacermi per questa notizia. Lo so non è una bella frase da dire, ma è così.

- Lo so, io invece…

- Lo so! Tu hai avuto un rapporto diverso con lei. Con te è stata nonna, con me e le nostre sorelle non lo è stata.

- Sì. Sai ieri volevo passarla a trovare.

- Capisco, ma adesso non ti puoi sentire in colpa se non sei andato a trovarla, non c’è motivo. Infondo ieri era il suo compleanno e neppure siamo stati chiamati per festeggiarla. Pertanto gli hai fatto un favore non andandoci, avresti potuto rovinarle la festa. Comunque chi te lo ha detto?

- Gianna, nostra cugina, pensava fossi a Rimini e mi ha chiamato per dirmelo aggiungendo che stava venendo qui per dare la notizia a papà. Le ho detto che ero qui e che loro erano usciti e che quindi non avrebbe avuto senso venire e che glielo avrei detto io.

- Già, papà – dicendo quella frase, mi si è stretto il cuore. So quanto lui fosse legato a lei e anche se non è proprio stata una madre degna di questo nome, una madre, comunque essa sia, è pur sempre una madre. In quel momento ho iniziato a sentirmi oppresso perché sapevo il colpo al cuore che avrebbe subito papà e più pensavo a questo più aumentava la mia rabbia. – Ma cazzo! Fino alla fine si sono fatti schifare. Come fu per su padre, anche per sua madre lo chiamano solo adesso che è morta. Sono sconcertato. (solo dopo ho saputo che sarebbe morta di punto in bianco la mattina e che non c'era nessuna avvisaglia che facesse pensare al suo trapasso, però sta di fatto che mio padre è stato l'ultimo a cui  è arrivata la notizia)

- Hai ragione. Che ci puoi fare, sono quelli di sempre. Ora come glielo dico? – quelle frase era piena del disagio che provava oltre che per il dolore che pian piano in lui diveniva concreto.

- Tranquillo, glielo dico io.

- Sei sicuro?

- Sì, tranquillo.

- Io devo scendere.

- Sì, fai bene. Vatti a prendere un caffè al bar e vai a compare le sigarette. Ci penso io qui. – e così è andato via. Io ho accesso una sigaretta anche per cercare di pensare alla maniera meno dolorosa per dire a mio padre che la madre non c’era più, come se ci fossero parole meno brutte per comunicare questo concerto. Già da se’ la parola morte non è bella, ma non ci sono sinonimi buoni per sostituirlo. Mentre stavo in balcone e fumano la sigaretta, ho iniziato a fare un viaggio lungo la memoria per cercare di trovare qualche ricordo, anche solo uno, che mi facesse apparire la madre di mio padre come nonna e non come semplicemente la madre di mio padre. Un viaggio questo che è durato a fasi alterne per due giorni, ma che non ha portato neppure ad un dolce ricordo insieme. Il suono dell’auto dei miei che mi indica che sono arrivati, mi distoglie da quel viaggio mentale. Gli vado incontro per aiutarli con le buste.

- Non c’era bisogno sono solo due buste.

- Non ti preoccupare papà.

- Allora vado a prendere il pane.

- No aspetta! Sali un minuto in casa.

- Perché?

- Ti devo dire una cosa.

- Che succede?

- Niente mamma, dai salite. – E così insieme saliamo le scale. In me l’angoscia, per quello che a breve avrei fatto, aumentava gradino per gradino. Chiudo la porta e ci dirigiamo in cucina.

- Papà mi dispiace.

- Che è successo?

- Tua madre è morta. – I suoi occhi si sono spalancati, mostrando perfettamente che il colpo era arrivato dritto dentro e poi il silenzio e poi ancora gesto spontaneo di andare verso la porta.

- Aspetta che torna Davide.

- Che è successo? – ha chiesto mia madre che intanto era di là.

- Ė morta mia madre. – le ha risposto mio padre.

- Ah... Forza vai.

- Tu non ci devi venire?

- No, assolutamente no. Tua madre me ne ha fatte tante fino alla fine. – Dovete sapere che oltre hai fatti raccontati nel libro, gli episodi che in questi anni ci hanno legato ai parenti di mio padre non sono terminati, anzi sono sempre stati peggiori. Umiliazioni, pettegolezzi, carognate (giusto per usare degli eufemismi), e molto altro ancora che non sto qui a dirvi, giusto perché mi vergognerei a rivelare certe azioni e dovere dire poi che sono miei parenti. Tornado ai fatti di quel giorno, dopo aver detto la verità a mio padre è rientrato mio fratello.

- Lo sa già.

- Ok. Forza andiamo.

- Andate – ha ripetuto la mamma

- Perché tu non ci vieni? – ha chiesto Davide

- No. Non me la sento.

- Ma lo devi fare per papà

- Io il mio dovere con tuo padre l’ho fatto quando sono morti suo padre (5 mesi prima che morisse mio nonno materno di cui ho parlato nel libro) e sua zia per ripagarlo per quello che ha fatto con mio padre ( lo ha assistito come neppure i fratelli di mia madre hanno fatto). Con lei non posso. Voi mi bruciate troppo e non posso andare da lei e poi non posso scordarmi tutto quello che ho dovuto subire.

- Dai andate –  sono intervenuto io

- Ok. Andiamo.

Giovy per delicatezza non è intervenuto durante la discussione, ma poi parlando con mia madre ha detto la sua e riputava giusto che lei andasse, ma mia madre non ha voluto. Io non la condanno, anzi la capisco bene. Giovy dice che di fronte alla morte siamo tutti uguali, io dico che l’ultimo saluto uno nella vita se lo debba meritare e poi in vita voleva solo suo figlio e suo nipote Davide e pertanto credo sia giusto che da morta al suo capezzale abbia loro. Io, mia madre e le mie sorelle (che sono a Rimini adesso) non siamo mai stati ben accetti. Prepariamo il pranzo. Dentro di me non sento dolore, solo dispiacere per mio padre. Dopo aver sistemato tutto, rimango con Giovy a guardare la tv. Non mi va di fare nulla né tanto meno stare al pc e poi anche volendo non avrei avuto modo di farlo, perché avrei dovuto pensare a tutto io per ciò che concerneva la casa. Dovete sapere che per ora, in attesa della partenza che ormai sta ritardando, anche troppo, per motivi che non vi sto a dire, ma che sono pure causa di nervosismo e stress, passo le mie giornate a cucinare e a sistemare, almeno trascorro il tempo così, altrimenti impazzerei considerando che non sono mai rimasto in casa giornate intere. In più quel giorno ho dovuto fare tutte quelle mansioni che di solito sono di mio padre. Tuttavia tornavo a vagare nella mente per cercar, come dicevo prima, un dolce ricordo con lei, ma più andavo indietro e più mi rendevo conto che non ne avevo e anche adesso che vi scrivo non ne ho.

Per farla in breve passa un altro giorno e arriva il giorno del funerale, neanche in questa occasione mia madre è voluta andare. Io invece sono andato perché mio padre, che come ho avuto modo di dire in passato, pur non dicendo nulla, con i suoi occhi ha detto tutto quello che non riesce a dire con le parole.

- Sei pronto? – mi ha domandato mio fratello

- Voi andate. - Non mi va di andare a casa sua e ritrovarmi accerchiato da tutti loro, in particolare quei cugini che sfortunatamente sono stati i miei primi punti di rifermento nella realtà omosessuale e che hanno segnato quel periodo. – Vi raggiungo direttamente in chiesa. – E così preparatomi con calma, ho salutato mia madre e Giovy, che era a letto dato che la notte precedente non aveva chiuso occhio, e vado. Arrivato, cerco mio fratello e mio padre e quando noto Davide, mi avvicino a lui.

- Dov’è papà?

- Lì – mi sono girato e l’ho visto.

Avete presente l’immagine di un bambino triste che si racchiude in se’, tira su le spalle e infila le mani nelle tasche del cappotto, cercando di far sembrare che tutto è a posto? Beh questa è l’immagine che dava mio padre. Gli vado incontro e lo abbraccio, mentre avverto di sopra gli sguardi di qualcuno, apro gli occhi ed è uno dei suoi fratelli, uno di quelli che mia madre si è messo sotto i piedi durante un litigio. Dovete sapere che mia madre ha sempre e dico sempre lottato con le unghia e con i denti per difenderci e non si è mai spaventata se di fronte a lei ci fosse un uomo o una donna, purtroppo mio padre non ha mai saputo prendere posizione in questo e devo anche dire che durante ogni tipo di discussione, ha sempre preso le loro parti pur quando erano loro in torto e di questo mia madre se ne è sempre rammaricata e in più questo è stato motivo di liti fra i miei per un bel po’ di domeniche quando ero piccolo. Tornando a quel giorno, libero mio padre dall’abbraccio e insieme (mio padre al centro e noi due ai suoi lati) entriamo in chiesa e quando questo zio cerca di avvicinarsi per esser salutarmi, ho tirato dritto (con gli anni ho imparato ad eliminare dalla mia vista, persone che non mi aggradano). Ci sediamo in una panca, dietro a tutti quei parenti in lacrime. Vi confesso che guardandoli in me è nato una sorta di rammarico. Vedere come loro, i miei cugini, piangessero perché di fatto per loro è stata nonna, mi ha rattristato un po’. Non dico che li invidiassi, ma è solo che non riesco a capire perché la mia famiglia non è mai stata accettata da loro, ma questo pensiero è svanito presto, quando mio fratello dice che andava fuori per controllare l’auto che era messa un po’ fuori mano. Dopo cinque minuti si avvina quello “storpio” (lo chiamo così perché in questo momento non ricordo il nome con cui l’ho chiamato nel libro, ma ricordo solo che lo nomino così in un passaggio) di mio cugino che si siede accanto a mio padre solo perché mi ha notato, però aspetta solo quando arriva la di lui madre dicendo “Francesco sei tu? Mi sembravi Davide”, al che lui si alza e viene a braccia aperte a salutarmi, ma io con una spinta lo allontano dicendogli “Evitami, evitami”. Da lì in poi sono rimasto accanto a mio padre sotto braccio, per dimostrare a tutti loro che erano lì e guardavano con la coda dell’occhio che ero lì per lui, per mio padre, e non per la defunta.

Tornato a casa, sono andato a letto, quel giorno è stato pesante. Avevo mal di testa che credo sia stato generato da tutta quella ipocrisia e falsità che ho vissuto in quelle due ore, provate a immaginare tutto questo per 27 anni e capirete un po’ di cose. Una cosa è certa però che questo episodio ha portato ad un epilogo naturale di questa storia. Se prima con la sua presenza non eravamo una famiglia, adesso che la madre di mio padre non c’è più, siamo completamente estranei e vi confesso che non provo nessun rimpianto, perché non è il sangue che fa la parentela.





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