Un nuovo mondo - Ventessima Puntata

Si conclude con questa ventessima puntata la seconda fase di Un nuovo mondo, che però torna a Settembre con un nuovo ciclo, che spero vi appassionerà come questi primi due. Lasciandovi all'ultima puntata, sperando che il finale non sia troppo diverso da quello da voi desiderato, vi invito a restare con me e Il mio mondo espanso, perché per tutto il mese di luglio al posto di Un nuovo mondo, ci sarà una nuova rubrica Racconti d'estate con storie dedicate alla stagione appena entrata.
Alla prossima
Francesco Sansone


Ventesima Puntata


- La morte è sempre difficile da accettare. Ci chiediamo perché Nostro Signore Iddio ci metta alla prova così duramente, privandoci di coloro che amiamo, soprattutto se a lasciarci sono i nostri giovani. Il dolore però non vi accechi, non vi indurisca, non vi allontani da Dio, lui ha sempre un piano che dobbiamo accettare, anche quando fa male come in questo caso. –


Le parole del prete risuonavano nella chiesa come un vano sforzo per facci accettare l’inaccettabile. Sentivo quelle parole, ma non le ascoltavo. Mi urtavano, mi irritavano, mi facevano male. Massimo accanto a me piangeva come un bambino, quasi mi infastidiva, come se solo lui stesse vivendo quel dolore. Mi infastidiva ancor di più quando diceva “è colpa mia, è solo colpa mia”. Volevo cercare qualcosa da dire per consolarlo, ma non ci riuscivo, forse pensavo veramente anch’io che fosse colpa sua. Se lui non avesse fatto tutto quel casino quella sera, oggi non saremo qua a piangere, a disperarci, a non cercare di rassegnarci.

- Dio oggi ha accolto con se’ la nostra giovane anima tanto amata per farla sedere al suo fianco, affinché possa stargli vicino il giorno in cui tornerà sulla terra . –


Mi domandavo, mentre fissavo il prete, se quelle cose le pensasse veramente o le diceva solo perché il rituale lo prevedeva. Finita la funzione mi incamminai reggendo Massimo che non smetteva un solo minuto di piangere e di darsi la colpa.


- Basta! Massimo, smettila. Zitto! Non ce la faccio più a sentirti piangere. Non è colpa tua. Non è colpa tua se non c’è più, non è colpa tua se è mort... Non devi darti colpe che non hai. Non devi pensarlo, non ti fa bene. Ora asciugati quelle lacrime e datti una sistemata. – Mentre passavo un fazzolettino al mio amico, vidi da lontano Alberto – Aspetta un attimo, torno subito.


- Dove vai?


- Torno subito – e andai verso colui che è stato un angelo custode in questi ultimi giorni – Ciao come va?


- Dovrei chiederlo io a te. Non deve essere facile per te trovarti qui.


- Infatti, ma non potevo non venire.


- E Massimo come sta?


- Adesso s’è ripreso. Ho dovuto “sgridarlo” perché continuava a dire che è colpa sua.


- Ma cosa gli passa per la mente?


- Non lo so, anche se…
- Anche se?


- Poco fa… mentre lo diceva … poco fa il pensiero che fosse lui il colpevole di tutto m’è passato per la mente per qualche istante.


- No, non devi pensarlo.


- Lo so, però…


- Nessun però, la colpa è solo del destino, tutto qui.


- …


- Comunque adesso devo andare, sono passato solo per vedere come stavate.


- Capisco.


- Allora ci vediamo dopo, ok?


- Ok. Io torno da Massimo prima che faccia qualche stupidaggine.


- A dopo ciao.



Tornai da Massimo al quale chiesi di andare a casa. Lui mi guardò stranito, con guardo interrogatorio.


- Come fai a restare così calmo?


- Uno di noi deve farlo, altrimenti rischieremo di impazzire.


- Ti invidio. Hai vissuto tutto questo e ti sei dimostrato forte. Io e Andrea pensavamo che certi colpi non li potresti reggere e invece ci sbagliavamo.


- Già.



Mezz’ora dopo


Arrivato a casa, posai le chiavi sul mobile vicino alla porta. I miei erano appena rientrati e li sentivo parlare, mentre si liberavano dagli abiti che avevano indossato fino a quel momento per mettere sù qualcosa di fresco. Non dissi nulla e andai direttamente in camera mia, chiusi la porta e mi buttai sul letto. Iniziai a piangere. Fu quella la prima volta che mi lasciai andare alle lacrime da quando è successo tutto. Non so quanto tempo piansi, so solo che ad un certo punto mi addormentai. 
Venni svegliato da mio padre, dicendo che era arrivato il momento di andare. Mi alzai, mi rinfrescai il viso e mi cambiai. Indossai un jeans e una maglietta verde e un paio di scarpe da tennis.


- Sei pronto? - Mi domandò mio padre


- Sì, andiamo.


- Come stai?


- Bene.


- Sicuro?
- …


- Ok, ammetto di aver fatto una domanda stupida. Scusami.


- E di cosa ti scusi pa’? Tranquillo – e sentendosi dire questo, mi abbracciò stretto a se’. Era da tempo che non capitava un momento simile. – Papà?


- Dimmi


- Posso piangere un po’ abbracciato a te?


- Certo che puoi, me lo chiedi pure?


- Scusa, ti sto bagnando tutta la camicia


- No preoccupati, in caso la cambierà – disse la mamma che era spuntata dalla porta – Non pensare alla camicia, sfogati, butta fuori tutto quello che hai dentro.



Un’ora dopo


In macchina guardavo la strada scivolare fuori dal finestrino. Ero quasi ipnotizzato da quella visione.


- Fabrizio! Fabrizio il telefono- disse mia madre


- Cosa?


- Il telefono sta squillando.


- Ah! Pronto?


- Dove sei?


- Sto arrivando. Perché ci sono problemi?


- No, stai calmo. Tutto ok!


- Meno male


- Fidati.


- Ok. Allora ci vediamo tra circa dieci minuti.


***


- Ehi, finalmente sei arrivato.


- Ciao Alberto, come va?


- Tutto bene, ma…

- Ma cosa? Che succede?


- Vieni con me – dicendomi questo, mi prese per mano e mi trascinò. – Guarda un po'


- Oh, finalmente sei arrivato. Ma quanto ti ci vuole per arrivare ogni volta, neanche dovessi prepararti per andare a cena fuori.


- Qua… Qua…


- Qua qua qua... cos’è? Mi sei diventato una papera in questi giorni?


- Che sei scemo!


- Ah adesso sono pure scemo, ti rendi conto Alberto?


- Dai lo sai... è burbero. In fondo tu lo sai bene Andrea, no?


- Già, lo so bene, ed è per questo che lo amo.


- Io… io…


- Ah ci risiamo. Vieni qua, abbracciami e smettila di balbettare. Sù, cosa fai fermo lì? Vieni! – Non potevo credere ai miei occhi, Andrea s’era svegliato, mi parlava e aveva chiesto un mio abbraccio. – Allora, devo aspettare ancora per questo abbraccio?


- No, no, no... - e mentre lo dicevo, mi avvicinavo a lui sempre più, fino a quando le mie braccia non furono intorno al suo collo.


- Dai basta piangere...


- Ma io non ho pianto. - dico affondando il mio volto sulla sua spalla.


- Invece sì, hai ancora gli occhi rossi e gonfi di uno che s’è fatto un bel pianto.


- Oggi è stata una giornata pesante. C’è stato il funerale di Giulia, Massimo non smetteva di autopunirsi psicologicamente e poi…


- E poi io ero ancora in stato vegetativo.


- Sì, quando il dottore è venuto e ci ha detto che eri andato in coma e che non erano certi che ti saresti mai svegliato, sono morto dentro. Quella sera non fui molto gentile con te. Per cercare di comprendere Massimo, ti avevo aggredito. Non riuscivo a sopportare l’idea che l’ultima cosa che ti avevo detto era “stai zitto”.


- Ma lo avevi detto per me, per non farmi sforzare.


- Lo so, ma, in certi casi, certe frasi le rimpiangi per tutta la vita.


- Ora non ci pensare più, sono qua - e dicendomelo mi abbracciò forte a se.





Un mese dopo


Passò un mese prima che Andrea si riprendesse del tutto, giusto in tempo per la maturità. Sostenemmo l’esame e lo superammo senza grossi problemi. Eravamo pronti per viverci la nostra prima estate da fidanzati.


- Mi spiace non poter passare l’estate con voi, ma ho deciso di andare a Londra per imparare bene l’inglese per cercare di entrare in un college lì.


- Massimo, però potevi aspettare fino a settembre.


- No, non avrei molto tempo di imparare la lingua in un solo mese, lo sapete che non sono una cima.


- Dai, ma se sei un genio


- Sì come no – e scoppiammo a ridere. – Adesso vado, altrimenti l’aereo parte senza di me.


- Va bene. Allora fatti forza e diventa un vero Lord inglese.


- Sì, Sir Massimo


- Massimo, fai attenzione, mi raccomando.


- Andrea non temere, ho imparato la lezione e per un bel po’ me ne starò alla larga dai guai


- Lo so. Vai, sù.


- A presto. Di sicuro a Natale starò qui con voi


- Ti aspetteremo come sempre.






***


La sera io e Andrea uscimmo con Alberto, che ormai a tutti gli effetti era diventato un nostro amico, anzi il nostro angelo, come lo chiamiamo ancora adesso, però qualcosa ci lasciò a bocca aperta non appena lo incontrammo.


- Ragazzi, devo parlarvi di una cosa, ma non so come dirlo... sono un po’ in imbarazzo.






Continua a settembre…