Il papa dice che la chiesa deve chiedere scusa ai gay, ma, di fatto, non lo fa e continua a definire l’omosessualità un problema.
A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Grafica di Giovanni Trapani
Durante il volo di ritorno a Città del Vaticano dalla visita in Armenia, come di consueto papa Francesco si è soffermato a
rispondere alle domande dei giornalisti in viaggio con lui.
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“Credo che la chiesa
non solo deve chiedere scusa ai gay, ma deve chiedere persone anche ai poveri,
alle donne stuprate, ai bambini sfruttati nel lavoro, deve chiedere scusa di
aver benedetto tante armi.” Risponde così il pontefice a chi gli chiede se
condivideva il pensiero del cardinale Reinhard
Marx espresso a Dublino, invitando la chiesa a scusarsi con la comunità
LGBT.
“L’ho detto nel mio
primo viaggio e lo ripeto,” – continua – “anzi, ripeto che il Catechismo della chiesa cattolica: i gay non vanno
discriminati, devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente. Si può
condannare qualche manifestazione offensiva per gli altri. Ma il problema è che
con una persona di quella condizione, che ha buona volontà, che cerca Dio, chi
siamo noi per giudicare?”
Ovviamente queste parole hanno fatto sì che in molti
gridassero all'ennesima apertura di Francesco alla comunità gay, ma
è davvero così?
Se analizziamo bene non solo non si scusa, ma
nemmeno sembra aperto ad accettare il modo di vita delle persone LGBT. Quel legittimare la condanna “di qualche manifestazione offensiva per gli altri” è la chiave di tutto il suo discorso: solo se un gay è in cerca di Dio, e quindi di una redenzione, può trovare accoglienza nella
chiesa.
Tuttavia c’è anche un altro aspetto del suo discorso che
merita l’attenzione. Il papa, infatti conclude la sua risposta dicendo:
“Dobbiamo accompagnare
bene è quello che dice il catechismo. Poi, in alcuni Paesi e tradizioni, ci
sono altre mentalità, qualcuno che ha una visione diversa su questo problema.”
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Tralasciando l’aver definito l’omosessualità un problema,
vorrei soffermarmi su come, non solo non condanna chi negli altri Paesi
perseguita i gay, ma in qualche modo lascia intendere che quelle tradizioni non
possono essere giudicate né criticate.
Quindi, non si può
parlare di ennesima apertura, o cambio di rotta, perché non è così. Non dimentichiamo l’invito fatto ai sindaci di opporsi alle unioni civili avvallando la propria obiezione di coscienza, o il trattamento riservato a Charamsa.
Quella di ieri, se dobbiamo chiamarla in qualche modo, è stata l’ennesima
mossa di un ottima campagna pubblicitaria, volta a ravvicinare chi si è
allontanato da una chiesa sempre più esclusivista e discriminatoria, che ha lanciato fumo sugli occhi e niente più.
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