Altri Mondi - AIDS: Intervista a Mauro Brambilla
UP Date: 7 Ottobre 2013 Per un'imprecisione da parte mia, l'introduzione e la domanda relativa agli studi, di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, che danno un altro punto di vista sulla malattia, sono stati modificati.
Chiedo scusa a coloro che si sono sentiti messi in discussione dalle mie parole, non era mia intenzione.
Francesco Sansone
Quella di oggi è un'intervista davvero interessante. Protagonista di questo nuovo appuntamento di Altri Mondi è Mauro Brambilla, un uomo che oggi ha 50 anni e che ha vissuto buona parte della sua vita con malati sieropositivi fino a quanto egli stesso non è rimasto vittima della malattia. Da quel momento ha deciso di mettere a servizio degli altri la propria esperienza. Da un po' di anni la sua condizione è passata da sieropositivo a malato AIDS. Con Mauro percorreremo la sua vita, le sue esperienza, ma parleremo anche degli studi, di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, che danno un altro punto di vista sulla malattia. Con questo appuntamento Il mio mondo espanso non vuol far cambiare idea a nessuno, ma credo che affrontare tutti gli aspetti di un tema così importante sia un obbligo per chi vuole fare informazione e cultura.
Chiedo scusa a coloro che si sono sentiti messi in discussione dalle mie parole, non era mia intenzione.
Francesco Sansone
Quella di oggi è un'intervista davvero interessante. Protagonista di questo nuovo appuntamento di Altri Mondi è Mauro Brambilla, un uomo che oggi ha 50 anni e che ha vissuto buona parte della sua vita con malati sieropositivi fino a quanto egli stesso non è rimasto vittima della malattia. Da quel momento ha deciso di mettere a servizio degli altri la propria esperienza. Da un po' di anni la sua condizione è passata da sieropositivo a malato AIDS. Con Mauro percorreremo la sua vita, le sue esperienza, ma parleremo anche degli studi, di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, che danno un altro punto di vista sulla malattia. Con questo appuntamento Il mio mondo espanso non vuol far cambiare idea a nessuno, ma credo che affrontare tutti gli aspetti di un tema così importante sia un obbligo per chi vuole fare informazione e cultura.
Oggi hai cinquant’anni e sei un omosessuale dichiarato che
vive la propria vita in serenità con la propria coscienza, ma che ricordi hai
del periodo in cui iniziavi a prendere coscienza del tuo esser gay e come hai
affrontato tutto quanto?
Nella foto: Mauro Brambilla |
A 14 anni, vivevo il risveglio della sessualità e spesso
mi scoprivo eccitato prima di sapere perché. Di quel periodo ricordo l'eccitazione negli spogliatoi della
palestra della scuola: l'odore (il profumo) dei miei compagni, i loro petti, le
ascelle e il loro sesso... era un tormento e qualcuno si era accorto del mio
guardare insistente. All'inizio pensavo che gli altri compagni provassero il
mio stesso desiderio e quando mi parlavano di quanto li eccitassero le ragazze,
pensavo che mi prendessero in giro.
http://685143.spreadshirt.it/ |
Il primo ragazzo che ho amato era un compagno scout. Ero
totalmente innamorato, ma quando lui si è reso conto del mio coinvolgimento emotivo, mi ha lasciato
dicendomi che gli piacevano le ragazze e io ero uno sfogo, un gioco e niente di
più.
Ho vissuto gli ultimi rimasugli di sessantotto e di
rivoluzione sessuale. Ci si conosceva molto facilmente e l'aids non esisteva
ancora, era un periodo beato. Ricordo con nostalgia le vasche che facevamo
lungo un viale alberato. Ogni sera eravamo in molti, forse in duecento, a passeggiare
e sedurre altri uomini.
Dichiarai la mia omosessualità ai miei genitori quando
avevo 16 anni e sono grato loro perché mi hanno accettato senza grossi drammi e
anzi ho scoperto la complicità di mio padre. Cercavo modelli omosessuali a cui
ispirarmi, ma ero molto angustiato perché vedevo moltissimi esempi negativi e
io non avevo nessuna voglia di diventare come loro. Ero un omofobo molto
intransigente: gli altri omosessuali mi facevano schifo e giudicavo molto severamente il mio desiderio. Cercavo
l'amore della mia vita, ma appena un uomo mi desiderava, io lo giudicavo una checca e
smettevo di interessarmene.
A 17 anni sono stato un attivista. L’omosessualità
dichiarata era la mia bandiera e fare sesso era un diritto sindacale (quasi un
dovere, un'ossessione). Incominciai ad avere una moltitudine di rapporti
sessuali con sconosciuti con cui mi incontravo in luoghi nascosti e spesso
squallidi, come ad esempio i cessi delle stazioni. Ero diventato molto
promiscuo e avevo incontri sessuali anche diverse volte al giorno. Però,
nonostante abbia attraversato deserti infiniti di squallore, continuavo a
cercare l'amore. A volte mi sono innamorato di ragazzi che mi corrispondevano e
ho avuto con loro delle intense relazioni che bruciavano, nel giro di poco
tempo, ogni possibile sfumatura, sino a esaurirsi in un’amicizia. Dopo anni di
relazioni immature e di insoddisfazione, ho trovato il compagno con cui ho
condiviso otto bellissimi anni. Resi pubblica la mia omosessualità in un
convegno sull'Aids organizzato dalla Caritas. In quell'occasione presentai
l'associazione di volontariato di cui facevo parte e che era nata
dall'iniziativa della comunità omosessuale della mia città. A quel convegno
c'erano molte colleghe e alcune di loro mi hanno addirittura tolto il saluto. È
stato comunque bello essere libero di essere me stesso senza finzioni; anche
perdere la stima di persone che mi credevano diverso è stato un bene. Chi
rimaneva vicino, mi aiutava ad accettare chi ero realmente.
Crescendo hai portato a termine i tuoi studi diventando un
infermiere. Un lavoro che per te è molto più di un impiego, è una vera è propria missione. Cosa ti ha
spinto a scegliere questo mestiere?
Sono figlio d'arte. I racconti di mia madre, assistente
sanitaria ai tempi della seconda guerra mondiale, mi avevano affascinato. Col
tempo mi sono accorto che nell’offrire servizio al sofferente, cercavo un
rapporto significativo dove si giudicasse solo il mio impegno e non il mio
orientamento sessuale. Occuparmi con affetto della sofferenza degli altri mi ha
aiutato, dandomi modo di curare me stesso: i pazienti mi insegnavano che anche
se ero omosessuale potevo amare con intensità. Certamente essere infermiere
professionale è stato uno degli strumenti più utili nella mia vita. Vestivo il
mio camice con la stessa emozione che potrebbe avere un sacerdote vestendo la
veste sacra, cambiavo addirittura il mio portamento e il mio modo di camminare.
Il tuo lavoro ti ha portato a entrare in contatto con una
realtà che in quegli anni era ancora nuova e di cui si sapeva poco: L’AIDS. Che ricordi hai del tuo primo
incontro con la malattia e con le persone infette?
Lavoravo in pronto soccorso e una coppia di uomini gay
aveva il sarcoma di Kaposi. Fui in preda al panico e li mandai con urgenza in
una struttura specializzata. Ero così ansioso da peggiorare la paura che già
avevano. Ho incominciato a occuparmi seriamente di Aids, per poter
sedurre un volontario della prima associazione di Aids in Italia. Ne ero innamorato e, siccome era
impegnato a tempo pieno con questa associazione, divenni volontario per stargli
vicino il più tempo possibile per poterlo sedurre. Solo in seguito, mi sono
reso conto che c'erano i malati di Aids; all'inizio non eravamo certi di quali
fossero le vie di contagio e quando visitavamo un malato al suo domicilio, non
sapevamo se ne saremmo usciti sani. Avevo paura e mi sentivo impotente. Ogni
giorno nuovi malati ci cercavano e la situazione era drammatica. Molti erano
gravissimi e morivano nel volgere di poco. Nacque in me il desiderio spontaneo
di aiutare quelle persone così poco diverse da me. Avrei potuto essere io al
loro posto. Più che per la malattia, soffrivano per la condanna sociale e la
solitudine a cui erano stati relegati. Uno di loro, ormai poco lucido a causa
della malattia, mi chiese un bacio scambiandomi per il compagno che lo aveva
abbandonato. Non ci pensai molto e lo baciai. Quando lo dissi agli altri volontari con cui lavoravo, mi
sgridarono abbondantemente.
All'ora l'Aids era così: ti svegli una mattina e non ci
vedi più; ti alzi un'altra mattina e scopri che sei paralizzato; ti svegli di
notte perché non riesci a respirare e hai la febbre alta; un altro mattino
scopri che il tuo fidanzato ti ha abbandonato e il padrone di casa ti ha
dato lo sfratto; queste persone il giorno prima conducevano un’esistenza
normale, proprio come ognuno di noi, e il giorno dopo dovevano affrontare la
vicinanza della morte. Cercavo a ogni costo qualcosa a cui aggrapparmi per
difendere me stesso dalla sofferenza sconfinata che mi circondava. La morte fa
paura e io volevo nascondermi dietro al mio camice e alle mie siringhe. Un giorno dissi a un mio paziente che
volevo aiutarlo, ma che non sapevo come fare, mi sentivo impotente. Gli chiesi
di dirmi come potevo essergli utile. All'inizio mi chiese cose banali e
pratiche come un bicchiere d'acqua, ma con il tempo diventammo più intimi e mi
volle raccontare il senso della sua vita. Lui, come molti altri malati, cercava
qualcuno che ascoltasse sino in fondo la drammaticità del proprio racconto
senza timore. Cercava un testimone per il proprio testamento esistenziale che
era principalmente costituito dalle risposta a tre domande: Sono stato amato abbastanza? Ho amato abbastanza? Sono ancora
capace di amare?
Negli anni hai avuto modo di entrare a contatto con
diversi pazienti e credo che in tanti ti abbiano lasciato qualcosa. Chi ricordi in particolare e soprattutto cosa ti
ha lasciato dentro?
Ѐ esperienza comune a chiunque abbia aiutato altre persone
quella di ricevere infinitamente di più di ciò che si è potuto dare.
Nell'associazione in cui feci il volontario, imparai che quando si supera la
propria paura e si ha il coraggio di ascoltare con il cuore aperto una
persona che affronta l’avvicinarsi della morte, questa avrà da insegnarci molto. La mancanza di un futuro obbliga
a vivere e a amare il presente, inoltre l'emarginazione dona un punto di vista
originale. Ѐ importante offrire uno spazio di ascolto affettuoso a chi sta attraversando questo cammino, in questo modo potremo
condividere naturalmente la sua saggezza. Mi ricordo di una prostituta
tossicodipendente e analfabeta. Era malata e soffriva molto, pensavo sarebbe
morta da lì a poco. Le chiesi di dirmi la cosa che più desiderava e che avrei
cercato di fare il possibile per accontentarla. Mi chiese di essere ricoverata
per non dover prostituirsi e trovare finalmente pace nella sua vita tormentata. Fu ricoverata come desiderava e alla
dimissione tornò nuovamente chiedendola di aiutarla a trovare un lavoro. Era una cosa che pensavamo
impossibile, ma la mandammo in una struttura di religiose che l’accolse dandole un lavoro che però veniva
segretamente pagato da un'associazione di beneficenza. Dopo due mesi ci
telefonò la madre superiora pregandoci di far sospendere il finanziamento dello
stipendio. Non capii il perché e credetti che l’avessero licenziata o, peggio
ancora, fosse morta, ma mi sbagliai! La madre superiora mi disse che la ex
prostituta si era trasformata in un'eccellente segretaria sociale che si
guadagnava pienamente il suo stipendio. Non è l'unico miracolo della
consapevolezza a cui ho assistito. Molti pazienti tossicodipendenti dopo aver avuto modo di raccontare della propria testimonianza a un
ascoltatore affettuoso e onesto, hanno riflettuto e dopo anni di buio hanno
ripreso la propria vita in mano.
Tuttavia la vita è stata beffarda con te perché anche tu
sei diventato siero positivo. Come è avvenuto il tuo contagio e come hai vissuto la scoperta?
Lavoravo in un servizio che si occupava di assistere
persone ammalate di Aids e noi sanitari facevamo tutti il test ogni sei mesi per confermare la nostra salute ed
evitare di identificarci con i malati sino a confondere la nostra identità (super-identificazione). La dottoressa mi
chiamò in ambulatorio, credevo avesse bisogno di aiuto e non sospettai niente. Quando mi comunicò che ero
HIV positivo ebbi una reazione isterica e mi misi a ridere. Non so perché, ma lo feci. Non ero sorpreso
perché sapevo di aver avuto rapporti non protetti con una persona ad altissimo rischio.
Il primo mese dopo la notizia, ero totalmente scioccato,
era come essere sulla luna. Incominciai a dirlo ad alcuni amici e pensavo che
avrei dovuto smettere di fare sesso. Piano piano, con il passare del tempo, lo
stupore divenne più tollerabile e incominciai a fare progetti: il tempo della
mia vita stava volgendo alla sua fine e io volevo solo fare le cose davvero
importanti e usare pienamente il mio tempo. Mano a mano che mi raccontavo agli
altri, la situazione mi appariva più tollerabile e quasi normale. Ogni giorno
era la conferma che anche con il virus, si può vivere. Divenivo sempre più
sereno.
Voglio farti una domanda che spero tu non prenda male, ma
voglio che il messaggio in essa contenuta arrivi a tutti. Dopo tutto quello che avevi visto e avevi
scoperto della malattia, come hai fatto a non prendere le giuste precauzioni?
Mi sono infettato facendomi penetrare senza preservativo
da un prostituto di colore nella Repubblica Domenicana, insomma me la sono
cercata con il lanternino. Come ho fatto a commettere una così grave mancanza?
Io che insegnavo agli altri ad avere abitudini sessuali sane? Me lo sono
chiesto a lungo e riflettendo ho scoperto di essermi esposto a questo rischio
estremo per avere una condanna al mio essere gay: ero un giudice omofobo intransigente e senza pietà.
Pensai, finalmente, che la pena capitale a cui mi ero condannato era un castigo
sufficiente per ricevere compassione e incominciare ad amarmi. E così è stato e
dal momento in cui ho incominciato ad amarmi, ho incominciato a crescere e a
essere sempre più contento di vivere. Voglio anche dire che per cambiare le
proprie abitudini sessuali bisogna avere pazienza, ci vuole amore e
comprensione per se stessi, cambiare abitudini sessuali è più difficile che
smettere di fumare.
Per anni hai convissuto con la sieropositività però di
recente la malattia si è evoluta, facendoti diventare un ammalato di AIDS. Questa ulteriore scoperta come ha inciso
sul tuo stato d’animo?
Ѐ un processo continuo, scopri che non sei eterno e la
morte fa parte della tua vita. Ci fai i conti e vivi intensamente; poi hai un
periodo di salute e ti dimentichi che sei mortale e rincominci a riempirti di
distrazioni e futilità; poi devi cambiare terapie perché il virus si è abituato
e di nuovo ti senti fragile; poi di nuovo sei in salute e diventi di nuovo frivolo; poi ti
ammali della tal cosa e di nuovo scopri la tua finitezza e fragilità...
Quando sono molto consapevole, mi sembra di camminare nel
quotidiano con i piedi immersi nell'Eternità ed è bellissimo sentirsi vivi. Vivo ogni momento come un
grande privilegio, un regalo prezioso e sacro da vivere con gratitudine e pienezza.
Ѐ un sentire simile a quando si è bambini in cui ogni cosa è scoperta per la
prima volta; è magica, infinita e
meravigliosa. Poi ho avuto altri guai gravi e ho potuto ottenere la invalidità
civile ed è un inestimabile privilegio: anche se con pochissimi soldi posso
vivere con tutto il tempo libero; è come essere in ferie per sempre. La mia
regione regala a noi invalidi la tessera di libera circolazione regionale e io
me la godo alla grande. Viaggio in tutta la regione in compagnia della mia
cagnolina, prendo un mezzo pubblico ogni volta che ne ho voglia e posso sedermi
anche se l'autobus è pieno perché ho il posto riservato. Forse ad alcuni di voi
queste cose sembreranno banalità, ma se pensate a quanto è prezioso il tempo
libero capirete che vivo come un miliardario. Pensateci...
Quindi accetti la scoperta della tua malattia e continui a
vivere la tua vita il più serenamente possibile, però non ti sei limitato a questo e hai voluto contribuire tu
stesso creando qualcosa che potesse arrestare queste epidemia. Di che si tratta?
Veramente oggi non faccio più volontariato, penso però di
poter aiutare le persone sieropositive e malate di Aids con la mia
testimonianza di profonda serenità e per questo ho scelto di essere testimone
pubblico della mia condizione. Una scelta che ho attentamente ponderato e che
ha anche delle conseguenze un po' spiacevoli: c'è ancora moltissima ignoranza, paura e
razzismo e a volte divento il parafulmine delle paure degli altri. Sono molto solo e ne soffro. Ho scelto di
mettere per iscritto alcuni pensieri e di renderli disponibili a tutti. Per il
momento potete trovare le bozze qui.
Voglio farti adesso una domanda che potrebbe sembrarti
fuorviante rispetto a quanto abbiamo detto fino a ora, ma non posso non trattare il discorso visto che è qualcosa di cui si parla già da tempo e che io stesso ho approfondito in questo blog. Secondo
alcuni studi dimostrabili con pubblicazioni reperibili ovunque e di cui ci ha parlato qualche tempo fa il ricercatore Simone Parisi, sembrerebbe che il virus dell’HIV di fatto non esista. Tu di che avviso sei?
Avrei preferito non rispondere a questa domanda, vedi
Francesco, purtroppo i due movimenti di opinione contrapposti, che difendono l'assenza del Virus uno o la
validità delle terapie l'altro, si fronteggiano con grande fanatismo come le
tifoserie di due squadre di calcio. Il fanatismo fa perdere la testa: se
l'interlocutore è di un'altra squadra, tutto quello che ha detto, dice o dirà,
non ha nessun valore e non viene più ascoltato. Parlerò, quindi, solo della mia
esperienza diretta, di ciò che ho vissuto in prima persona e ho visto succedere
ai miei amici.
All'inizio, quando il medico mi ha detto che ero sieropositivo,
ho rifiutato inconsciamente la notizia e non ho voluto saperne di intraprendere
le terapie. Comprendo perciò la posizione dei miei amici che hanno abbracciato
la tesi degli scienziati che dicono che il virus non esiste. Sei anni dopo aver scoperto la mia
sieropositività, il mio compagno, anche lui sieropositivo, ha voluto curarsi e
io ho seguito il suo esempio. Oggi sono fermamente convinto che le nuove
terapie combinate hanno migliorato moltissimo le aspettative e la qualità della
vita di noi sieropositivi e malati.
Una volta ho provato a dire la mia esperienza in un blog
di persone che credono nelle teorie negazioniste (cioè che negano la esistenza
del virus HIV) e sono stato oggetto di scherno e di sarcasmo violento. Sono perciò arrivato alla conclusione che sia inutile e
controproducente un confronto sul tema essendo gli animi così accesi e le posizioni ormai cristallizzate. Voglio
sottolineare, però, che sulla scelta di seguire le terapie oppure non fare
niente perché il Virus è una bugia, ognuno di noi si gioca la vita, dunque in
ogni caso è una scelta che merita rispetto qualsiasi essa sia. Ho
conosciuto molti malati di Aids, prima e dopo l'arrivo delle terapie moderne.
Prima i reparti di malattie infettive erano così pieni da dover rimandare a
casa pazienti molto gravi per mancanza di posti letto. Con l'arrivo delle
terapie combinate è come se si fosse spento un interruttore, chiuso un
rubinetto e dall'oggi al domani i reparti di malattie infettive si sono
svuotati perché i pazienti stavano meglio e adesso si trovava posto anche
per ricoverare pazienti sieropositivi con banali dermatiti. Vivere da
sieropositivo, e ancor più da malato, è certamente difficile ma quando ho
accettato di sfidare la sciagura della mia malattia, ho scoperto anche degli
aspetti estremamente positivi che mi sono serviti a trasformare l'Aids nella
migliore opportunità della mia vita. Ho imparato un modo più autentico di vivere e ho sviluppato un punto di vista che i sani e i
normali non riescono a immaginare. Vivere con la malattia mi ha insegnato a
fare pace con me stesso e con la mia omofobia, finalmente ho incominciato a
volermi bene. Vivere con l'Aids è difficile ma non impossibile e io lo sto
facendo (sorride, ndr). Per chi desidera approfondire gli studi sulle origini
dell'Aids, segnalo questi due link: wikipedia e youtube. Segnalo
anche, che tutte le associazioni per la lotta all'Aids che conosco,
raccomandano di assumere le terapie antiretrovirali indicate
dall'infettivologo. Oggi le terapie antiretrovirali sono abbastanza tollerabili
e semplici da assumere. Vorrei invitare ogni persona sieropositiva o malata, a
una riflessione profonda perché su questa scelta, noi sieropositivi, ci
giochiamo la Vita!
Che messaggio vuoi dare ai ragazzi che ti leggeranno?
Vorrei invitare tutti a vivere con pienezza, amando sempre
la vita. Se pensate che vi manchi amore, potete cominciare voi ad amare la vita e avrete dei risultati
miracolosi. Non sprecate energie a mentire conducendo una doppia Vita ma usate
tutte le energie che avete per essere voi stessi. E se vostro padre vi picchia
e vi butta fuori di casa, non abbattetevi perché imparerete a dover contare su
di voi e a essere vivi e a non pensare più al suicidio. Vostro padre spenderà
il suo tempo a rodersi il fegato, voi lo userete vivendo. Non abbiate paura.
Per finire, hai qualche rimpianto e se sì quale e perché?
Credo che vivrei tutto quello che ho vissuto, forse mi
sarebbe piaciuto essere più coraggioso in amore e aver provato meno rabbia. Per
ciò che riguarda l'essermi infettato, vorrei non averlo fatto, e aver imparato
la saggezza e la serenità, senza doverne morire, ma, si sa, per diventare
domatori di tigri, non si può rimanere seduti in poltrona.
Rubrica: Francesco Sansone
Grafica: Giovanni Trapani
http://ilmiomondoespanso.blogspot.it/p/oltre-levidenza-racconti-di-vita-gay.html |
Salve. Io non ho mai affermato che l'Aids non esista, forse è il caso che rileggiate quanto da me scritto. Io non ho teorie, ma prove scientifiche concrete e le fonti di wikipedia et simila non sono nè serie nè attendibili (almeno per chi fa il ricercatore di professione e passa anni sui libri e nei reparti), ma sono un'ottima fonte per manipolare le masse, come posiamo notare. La prova che l'Hiv non esista ce l'abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: al microscopio elettronico non si è mai visto alcun virus in nessun laboratorio del pianeta. La purificazione non è mai stata effettuata e senza purificazione non è dimostrata l'esistenza del virus. Detto da Montagnier, Dauguet, Gonda, Gelderblom, De Harven, Bess e molti altri (l'élite della scienza, non Simone Parisi) pubblicato su Virology nel 1997. Io di casi di Sarcoma di Kaposi ne ho visti diversi nella mia carriera: tutti sieronegativi all'Hiv ma forti consumatori di popper e non solo. "L'ossesione per il sesso", è bene forse ricordarlo, espone a malattie infettive sessualmente trasmissibili, che si curano con gli antibiotici, che usati in eccesso sono immunosoppressori. Noto con dispiacere quanto bisogno ci sia ancora di negare le evidenze per giustificare la scelta del proprio stile di vita, come siano proprio i "pazienti" o presunti tali non solo a non avere interesse nella verità, ma a confondersi e confondere ancora di più chi, per scelta, non sceglie di assumere chemioterapici tossici a vita, che causano immunodeficienza e sintomi indistinguibili dall'Aids. Deludente e superficiale, ma forse comodo, che venga detto "le teorie di Simone Parisi che l'Aids sia inventata". Io cito la letteratura scientifica e le evidenze. Non Wikipedia Ma ognuno è libero di dare le proprie interpretazioni e di avere le proprie ossessioni. Evidentemente anche il sig. Brambilla ha preferito accettare la pseudo realtà che gli hanno prospettato. Ma ha mai chiesto le prove del tutto? Ha chiesto i fogli illustrativi dei test hiv? Sa cosa misura la PCR, la cosiddetta "carica virale"? E porti i fogli illustrativi dei test da un avvocato e senta la risposta. Qui non si tratta di "squadre" di calcio, ma di chi fa lo scienziato per passione e non per soldi. Le associazioni di lotta all'Aids sono state create e sono finanziate dalle multinazionali farmaceutiche. Non stupisce affatto che consiglino le terapie antiretrovirali quindi. Avere una condotta di vita poco salubre, usare o abusare di droghe, avere centinaia di partners sessuali etc è più che sufficiente a portare al collasso (reversibile) del sistema immunitario senza scomodare un virus mutante e invisibile. Come sempre, invito tutti a leggere i fogli illustrativi dei test Hiv, visto che tutti dichiarano di NON essere strumenti diagnostici. E i fogli illustrativi degli antiretrovirali, che dichiarano di non curare nè prevenire l'Aids e di causare immunodeficienza. E ogni "sieropositivo" è invitato a fare esaminare il proprio sangue al microscopio elettronico: se la PCR/carica virale dà ad esempio un valore di 100mila "particelle di Hiv" per ml., bene allora al microscopio elettronico avrete una bella fotografia di 100mila particelle di Hiv per ml. Dal 1983 ad oggi, una tale prova non esiste, anche se è stata tentata più volte. Forse la "partita di calcio" dovreste farla con loro e con voi stessi, visto che quei fogli non li ho scritti io nè i "dissidenti". Ma il Ministero della Sanità. Perchè i sieropositivi non fanno queste domande ai loro infettivologi? Tutti gli aspetti oggettivi vengono perennemente negati proprio da chi è vittima di questo inganno. Questa è la vera tragedia. Invitandovi ad una maggior cautela nel mettermi in bocca cose mai dette, vi saluto cordialmente.
RispondiEliminaSimone Parisi.
Simone chiedo scusa per l'imprecisione nella domanda. Provvederò a chiarire la questione ora stesso. Mi scuso ancora, Francesco Sansone
RispondiEliminaScrivo perchè sono direttamente tirato in ballo dal sig. Simone: io non sono uno scienziato ma parlo solamente della mia esperienza diretta su cui è ben brutto che altri abbiano a dire.
RispondiEliminaNon ho gradito le supposizioni che leggo su di me ma sono rassegnato.
Non aggiungo altro se non ribadire che dalle risposte a queste domande ogni sieropositivo si gioca la Vita.
Mauro Brambilla
Per il sig Sansone: è molto cortese, non c'è necessità di scusarsi, non ho vissuto il tutto come un attacco o una critica personale. E anche fosse sono assolutamente allenato e immunizzato. Ritenevo solo importante precisare cosa sono le opinioni e cosa le evidenze. Per il sig. Brambilla: non ho fatto alcuna supposizione e se così è parso me ne rammarico; io non giudico, nè come uomo nè come scienziato. Mi delude e stupisce (per suo interesse personale) come non abbia detto una parola in risposta alle evidenze da me portate, palesando come siano sempre i diretti interessati a non voler vedere le evidenze scientifiche che a molti come me hanno richiesto anni di lavoro di ricerca. Mi scuso se nelle mie parole lei possa aver percepito una critica personale, non era mia intenzione. Ogni sieropositivo si gioca la vita certo: non documentandosi e non chiedendo le prove delle parole terroristiche dei medici che li hanno in cura. La verità non uccide in questo caso. Può far paura. Ma è la menzogna che spaventa e uccide. E continua e far arricchire tutta questa macchina diabolica. E' diritto del paziente chiedere al medico tutto ciò che non è chiaro, farlo mettere per iscritto e sentire altre opinioni. E le assicuro che nessun medico metterebbe per iscritto 2 semplici frasi: 1) i test hiv sono strumenti diagnostici 2) la terapia ARV cura e previene l'infezione da hiv e il suo declinarsi in Aids. Per il semplice fatto che il Ministero della Sanità è informato sulla verità e sono proprio i suoi consulenti scientifici a far scrivere che i test non sono diagnostici e i farmaci terapeutici. Per tutelarsi da azioni legali dove l'ultimo degli avvocati avrebbe partita vinta davanti al giudice. Perchè somministrare un test che non diagnostica quella patologia? Perchè somministrare farmaci pericolosissimi che non curano nulla? Ma se il Ministero e le aziende produttrici di test e farmaci si tutelano astutamente, il medico che somministra il test e i farmaci non lo fa: questa è una gravissima violazione non solo del Giuramento di Ippocarate ma soprattutto della Legge sul consenso informato che trasforma l'atto medico in REATO. Questa è la realtà scientifica e legale della situazione. Che poi una persona decida di prenderne atto o meno, è una scelta personale che non mi permetto di giudicare. Esiste il libero arbitrio, e ognuno di noi è artefice del proprio destino. Chiedetevi soltanto un'ultima cosa: cosa ho io da guadagnarci nel diffondere e dimostrare la verità, come migliaia di rinomati scienziati nel mondo? Nulla, anzi, ci giochiamo la carriera e spesso siamo costretti a emigrare. Cosa ci guadagnano gli altri? Molto, moltissimo, molto più di quanto voi possiate immaginare. Con questo mi congedo, ritengo che la realtà sia lì fuori ormai libera e chiara. E io, non posso nè voglio salvare il mondo. Cordialità.
RispondiEliminaDr. Simone Parisi.