Rewind - L'eterno amore
Per l'appuntamento Rewind di questa settimana sono andato a pescare il secondo racconto che pubblicai su Il mio mondo espanso. L'eterno amore è un racconto diverso da quello a cui vi ho abituati anche perché nasce per altro uso e non per il web e quindi la lungezza non rispetta i canoni della rete, però è uno fra i miei preferiti e quindi sono contento di riproporverlo in questo appuntamento. Spero abbiate la pazienza di arrivare alla fine.
Rewind
L'eterno Amore
Pioveva
quel giorno al cimitero, come se anche il cielo soffrisse per la fine
dell'amore tra Ale e Diego. Una storia nata, quasi per caso, sei anni fa
in uno di quei locali per soli uomini e che da quel giorno non si è
interrotta mai, fino all'altro dì, quando Ale, dopo mesi e mesi di
dolore e sofferenza si è spento tra le braccia del suo Diego che in
lacrime vedeva passare davanti ai suoi occhi i giorni felici e
spensierati vissuti con colui che gli aveva giurato amore eterno. Al
cimitero c'erano tutti gli amici ma, anche, i parenti e i genitori di
Ale che, da quando avevano scoperto dell'omosessualità del figlio,
facevano finta di non conoscerlo. Non erano con lui neppure, quando il
ragazzo, ormai, consapevole della fine dei suoi giorni chiese di vederli
e mandò Diego nella casa in cui aveva vissuto la sua triste
adolescenza. I genitori del ragazzo, quando aprirono la porta e videro
Diego, non attesero neppure che il ragazzo spiegasse loro il motivo di
quella visita, così insolita e così rara e lo cacciarono via.
In
strada Diego pensava come comunicare alla sua anima gemella la reazione
dei suoi genitori, ma non ebbe modo di farlo perché, arrivato in
ospedale, fu raggiunto da un'infermiera che lo informò del peggioramento
delle condizioni del suo ragazzo. Diego si lanciò nella stanza,
abbracciò Ale che, guardandolo, gli disse ti amo e si spense così, con
gli occhi rivolti verso il suo unico amore.
La
funzione era terminata e tutti andarono via e mentre Diego, sorretto
dalla madre, si trascinava verso l'auto tra le lacrime che non riusciva a
trattenere da quel giorno in ospedale, venne raggiunto dalla madre di
Ale che, guardandolo con odio e disprezzo, gli disse tutto ciò che il
cuore le suggeriva.
- Me lo hai ucciso! Che tu sia maledetto!
-
No signora, non è colpa mia. Il tumore... il tumore ce lo ha strappato
via ingiustamente-, le rispose il ragazzo intimorito da quella donna.
- Che tu sia maledetto frocio!
-
Come si permette! Chi deve sentirsi una maledetta è lei e non di certo
mio figlio", le rispose la madre di Diego, "Dov'è stata in questi sei
anni in cui suo figlio era felice? Ma, soprattutto, dov'era quando stava
male e chiedeva di lei? La sua ottusità le ha impedito di ascoltare
quello che mio figlio aveva da dirle il giorno in cui venne a casa sua.
Si vergogni, signora mia. E non si permetta più a dire frocio a mio
figlio, stronza-
-Se è per questo, glielo ripeto ancora e poi ancora, fino all'infinito. Frocio! Frocio!-.
La madre di Diego non poté più frenare i suoi istinti e diede uno schiaffo alla donna che infieriva contro il figlio.
- Se non se ne va, giuro che non mi limiterò a uno schiaffo solo!
- Cosa potevo aspettarmi da una donna che accetta un figlio invertito?
A
queste parole la madre di Diego stava per darle nuovamente uno
schiaffo, ma fu fermata dal figlio che, ponendole un braccio di fronte,
la guardò con i suoi occhi verdi pieni di lacrime.
- Mamma No. Non è lei che parla, ma è il dolore che la spinge ad attaccarmi
- Non ho bisogno che mi difendi, nessuno te lo ha chiesto
-
Sa signora... -, riprende la madre di Diego. - Qual è la differenza tra
mio figlio e lei? Mio figlio sarà pure un frocio, ma ha il rispetto per
la gente come lei, stupida e ignorante, mentre lei non sa neppure dove
sta di casa il rispetto-, detto questo si allontanò con il figlio
lasciando la donna , immobile come un sasso, in mezzo al prato del
cimitero.
Tornato
a casa, Diego volle rimanere solo e chiese alla madre e agli amici se
potevano realizzare questo suo desiderio. Rimasto solo si sedette sul
divano posto di fronte al tavolino che ospitava le numerose foto
scattate in questi sei anni con il suo Ale. Si girò attorno. Lasciò che
il suo sguardo vagasse attorno a quella casa che avevano comprato
assieme due anni prima dopo aver raccolto i soldi, lavorando
faticosamente giorno e notte, e si rese conto che dall'indomani non si
sarebbe svegliato più al suo fianco, non avrebbero pranzato più assieme,
insomma, non lo avrebbe potuto rivedere mai più. Decise di mettere un
cd di Mina, la cantante preferita di entrambi, e lasciarsi accarezzare
dalla sua calda voce, decidendo di stendersi sul divano tenendo stretto
fra le braccia una foto di loro assieme e chiuse gli occhi.
... io ti chiedo ancora,
Il tuo corpo ancora,
Le tue braccia ancora,
Di abbracciarmi ancora
Di amarmi ancora,
Di pigliarmi ancora,
Fammi morire ancora,
Perché ti amo ancora...
(Ancora, ancora, ancora. Mina)
Il
cd andava avanti. Il ragazzo si addormentò, quando ormai le tre del
pomeriggio erano passate. Restò lì, addormentato con la foto fra le
braccia, per tutto il pomeriggio e anche la notte. All'alba del giorno
dopo, si alzò dal divano, spense la radio, rimasta accesa tutta la
notte, e andò in bagno per lavarsi. Si preparò la colazione e, dato che
aveva preso qualche giorno di ferie, decise di andare a trovare il suo
Ale.
Passò
tutta la mattina davanti alla tomba piangendo e a raccontare al suo amore
la discussione avuta la mattina prima con la madre. Poi si sedette e
restò lì, fermo come una statua, fino l’ora di pranzo, quando decise di
tornare a casa.
Al
suo rientro, trovò la porta della loro abitazione aperta e vide diversi
uomini che spostavano i mobili. A dirigere i lavori era la madre di Ale.
Diego si precipitò dentro e, con un forte batticuore, si avvicinò alla
donna.
- Che cosa sta facendo?
- Sto liberando la casa. Non lo vedi? Ho deciso, adesso che mi figlio è morto, di darla in affitto.
- Questa è anche casa mia! L'abbiamo comprata assieme
-
Sarà, ma il contratto è intestato a mio figlio e, quindi, capirai che
non avendo lasciato testamento la casa diventa automaticamente mia
- Non vuol dire nulla! Questa casa l'abbiamo comprata assieme e lei lo sa benissimo!
- Gioia non è colpa mia se funziona così.
- Perché... perché mi sta facendo questo? Perché sta strappando via quello che rimaneva di noi?
- Perché? Tu hai iniziato per prima portandomi via mio figlio. Ora io mi riprendo ciò che era suo per mantenere vivo il ricordo.
-
I mobili, il letto, tutto appartiene anche a me. E poi io non le portai
via il figlio. È stata lei, con suo marito, a volersi liberare di lui,
come si fa con i panni smessi, quando scoprì che era gay
-
Non dire stupidaggini! Mio figlio non era gay, tu lo hai soggiogato e
glielo hai fatto credere. Ora, se vuoi scusarmi...-, disse la donna al
ragazzo, facendogli un cenno con la mano per indicargli di lasciare la
casa.
- Lei non può farmi questo!
- Parla con il tuo legale e vedi se posso. Ora esci! Stai bloccando i lavori.
Luca
si sentì disperato, non sapeva che fare e decise di recarsi a casa
della madre per raccontarle ciò che gli era appena successo. La donna,
dopo aver ascoltato sconcertata il discorso del figlio, gli disse di
chiamare subito Stefano, un avvocato amico di Diego e Ale.
Nel
pomeriggio il ragazzo, accompagnato dalla madre, si recò allo studio
legale. Stefano vedendolo gli andò incontro. Lo abbracciò esprimendogli
tutto il suo dolore stringendolo in un forte abbraccio fraterno. Stefano
e Diego, infatti, si conoscevano dai tempi delle scuole medie ed
entrambi avevano riversato nell’altro l’affatto che avrebbero dato ad un
fratello se non fossero stati figli unici. Una volta seduti sulle sedie
di pelle nere dell'ufficio, Diego raccontò, sotto gli occhi rossi per
le lacrime della madre e quelli increduli dell'amico, cosa gli era
capitato qualche ora prima.
- Mi dispiace Diego, in base alla legge, se il contratto è intestato ad Ale, la sua famiglia diventa proprietaria dell'immobile.
- Dannazione! La sua famiglia siamo noi. Siamo io, te, mia madre e tutti i nostri amici e non loro, e tu lo sai!
- Lo so benissimo. Dovevate stipulare un contratto in cui entrambi uscivate intestatari?
- Non pensavamo che sarebbe mai successo qualcosa del genere.
- Non c'è proprio nulla da fare?-, chiede la madre di Diego all'avvocato, il quale rimane colpito dalle parole del suo amico.
- No, signora. So che non è lo stesso, se hai dei mobili intestati a te, li puoi prendere
-
Sì, ho delle cose intestate a mio nome, ma... io voglio la casa, la
nostra casa. Portandomela via, cancelleranno in me ogni ricordo che ho
di Ale - e detto questo, riprese a piangere.
- Dai, non fare così- gli disse l'amico - piangendo non otterrai nulla.
-
Non è giusto Stefano!- afferma la donna, ormai, quasi in lacrime
anche lei, -Non è giusto che lo stato non tuteli i diritti di mio figlio e
di tutti gli altri ragazzi omosessuali. Al momento delle votazioni
siamo tutti buoni e tutti uguali, ma quando si tratta di accettare loro
come esseri umani riconoscendo i loro diritti, si chiudono i ponti..
-
Sa signora? Mi ero promesso di diventare avvocato per cercare di far
valere i diritti di ragazzi come me e suo figlio ma, purtroppo fino ad
oggi, ho fallito e questo resterà solo un sogno in questo paese -
rispose Stefano con voce bassa.
- Cosa devo fare, adesso?- domandò Diego all'amico, cercando di trattenere le lacrime invano.
- L'unica cosa che puoi fare, adesso, è tornare in quella casa e portare via le tue cose
Usciti dall'ufficio, madre e figlio si recarono alla casa che era ancora occupata dalla madre di Ale.
- Sei di nuovo qui?- disse la donna al ragazzo, vedendolo sul ciglio della porta.
- Sono venuto a portare via le mie cose!
- Non ti disturbare. Guarda, lì , in quei due scatoloni, ho messo le tue cose. Tranquillo ho lasciato, pure le foto
-
Mio figlio, cara signora, deve portar via con sé anche altre cose che
non entrano in quelle due scatole - le disse la madre di Diego.
Mentre
le due donne continuavano a discutere animatamente, il ragazzo si
avvicinò agli scatoloni. Rimase fermo lì, di fronte loro. S'inginocchiò e
vide i cd di Mina, quelli di Ambra e tutti gli altri. Vide tutti i
libri e osservandoli gli vennero alla mente le volte in cui insieme si
recavano in libreria per comprarne uno anzi due, uno ciascuno, e ricordò
le varie discussioni che nascevano durante quell'operazione, così
difficile per loro, dello scegliere i volumi da comprare. Passavano minuti
a dibattere su quale fosse il libro giusto e a volte arrivavano ad
alzare il volume delle loro voci che, dopo un po', si riabbassavano,
pagavano e uscivano lasciandosi gli sguardi increduli della gente alle
spalle.
Continuò
a guardare dentro gli scatoloni e vide le foto. Le prese e si soffermò nel guardarle. I ricordi volavano nella sua mente l'uno dietro l'altro così
come le foto scivolavano l'una dietro l'altra tra le sue mani. Questi,
però, si fermarono con l'ultima immagine che mostrava i due in ospedale.
Ale pieno di fili, pallido e profondamente segnato dalla malattia ma
con quel sorriso che non perse neppure durante quei giorni e Diego
preoccupato ma, allo stesso tempo, speranzoso che le cose sarebbero
migliorate. Diego ricordava ancora il giorno in cui quella foto fu
scattata. Era il giorno in cui Alessio gli chiese di andare a chiamare i
suoi genitori. Il giorno in cui Alessio gli disse per l'ultima volta ti
amo. L'ultimo giorno in cui Alessio vide il suo amore.
Diego si alzò prendendo le due scatole e si avvicinò alle due donne che discutevano ancora.
- Grazie!- disse alla madre di Ale.
- Cosa?- rispose lei incredula per ciò che il ragazzo le aveva appena detto.
-
In queste scatole - riprese il ragazzo - c'è Ale. Ci siamo io e lui, e
grazie a questi ricordi e a quelli che custodisco segretamente nel mio
cuore, mi sono reso conto che lui resterà sempre con me. Prenda pure la
casa, i mobili non mi importa di perdere i soldi, almeno io ho e avrò
con me Ale per sempre. Le auguro che tornando a casa sua stasera, possa
scovare suo figlio in qualche ricordo ma, e lo sappiamo entrambi mia
cara signora, non sarà così. Non lo troverà per il semplice fatto che
non è riuscita a volergli bene da vivo e ora che non c'è più, non può
pretendere di ritrovarlo in quella casa dove ricordi non ve ne sono. Li
avete gettati tutti quanti nei cassonetti della spazzatura come
l’amore che vostro figlio voleva darvi e sperava di ricevere da voi.
Prenda la casa se può aiutarla ad alleviare il dolore dal suo cuore.
Quel dolore che, e anche questo lo sappiamo più che bene entrambi, non
si placherà mai, così come il rimpianto non le farà chiudere occhio per
il resto dei giorni che le restano da vivere in questo mondo. Addio
signora e che Dio possa avere pietà di lei!-, detto questo il ragazzo,
assieme alla madre, andò via, lasciando la donna in asso, come quel dì
al cimitero. La donna restò qualche istante perplessa, colpita da quelle
parole così dure, per poi, come nulla fosse, riprendere a dare ordini
agli uomini che, a poco a poco, smantellavano l’appartamento.
Rubrica: Francesco Sansone
Grafica: Giovanni Trapani
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