Porfirio Rubirosa: « con “L’omino biscottino” volevo raccontare la verità senza filtri.»

In occasione della Giornata internazionale dei diritti degli animali (che si celebra il 10 dicembre) è uscito “L’omino biscottino", il nuovo singolo di Porfirio Rubirosa and His Band.

 

La canzone si presenta soltanto in apparenza a tema natalizio, poiché sebbene il racconto si apra con la triste storia dell’Omino biscottino – sulla falsa riga di quella narrata nel film Shrek 2 – alla fine si conclude in maniera totalmente inaspettata e spiazzante, lanciando un messaggio da cogliere tra le righe. 

 

Il brano è tratto da “Breviario di teologia dadaista”, album distribuito da Isola Tobia Label in collaborazione con Esibirsi – Multiservizi per artisti dello spettacolo, che il cantautore veneziano ha realizzato insieme alla sua band composta da Drugo Arcureo, Pastafarian Andyman, IndiAnanas Jones e Krugerpritz e ad altri musicisti di rilievo.

 

Il videoclip de “L’omino di biscottino”, così come il brano, ha una conclusione altrettanto imprevista e piuttosto forte, che potrete vedere sul canale youtube ufficiale.


L'intervista

 

D. Il tuo nuovo singolo “L’omino biscottino” è un brano che in apparenza  si presenta a tema natalizio, per concludersi in maniera totalmente inaspettata e spiazzante. Da cosa nasce questa decisione?

R. “L’Omino biscottino” è una falsa pista. L’uomo di marzapane e la sua triste storia servono soltanto a far abbassare la guardia al pubblico. A rassicurarlo, in una atmosfera, finta, di natale edulcorato. Ma alla fine del pezzo, quando ormai non ci sono più difese, quando sembra che tutto debba andare come ci si aspetta, il brano sferra un diretto micidiale allo stomaco. Testo e immagini finali raccontano tutt’altro. E sono cose brutte, terribili da vedere. Ma sono cose vere. E io volevo raccontare la verità senza filtri. Come d’altra parte cerco di fare in tutto l’album.

 

D. Parlando del brano hai detto che non ti interessava creare uno shock fine a sé stesso, bensì aprire nell’ascoltatore una riflessione sul suo messaggio. A questo punto non posso non chiederti: quanto è importante per te trasmettere messaggi attraverso la musica?

R. Le canzoni altro non sono che occasioni. E le occasioni, come accade nella vita, purtroppo non sono infinite. Crescendo ho capito che non potevo più permettermi di perdere occasioni. Non potevo rischiare di “buttare” pezzi, senza dire nulla. Senza raccontare niente. Allora ho capito che i miei brani avrebbero dovuto essere sempre latori di un significato, di un messaggio, di un’idea. Senza cui non avrebbero nemmeno avuto senso di esistere.

 

D. Qual è stata la canzone che più di altre ti ha aperto un mondo e spinto a cambiare comportamento?

R. Ascolto molti cantautori. Italiani e stranieri. Devo moltissimo a Piero Ciampi e a Bob Dylan. Da brani come “Livorno” del primo, e “Visions of Johanna“ del secondo ho imparato a raccontare per immagini. Ma soprattutto, mi hanno insegnato che in una canzone occorre scavare, e non si può rimanere in superficie.

 

D. “L’omino biscottino” è l’ultimo estratto del tuo album “Breviario di teologia dadaista”. Attraverso i 12 brani contenuti in esso, racconti la storia dell’uomo e del suo progressivo annullamento consumistico. Cosa non ti piace della società attuale e come agiresti per cambiarlo o farlo cambiare?

R. L’uomo è già morto. “Siamo tutti morti, siam cadaveri ambulanti, e anche se non lo diciamo, lo sappiamo tutti quanti”. Quella attuale è una società tecnogena, destinata a soccombere. Un mondo nel quale confondiamo il concetto di benessere con quello di comodità è un mondo senza futuro. E soprattutto, è una società totalmente omologata e così fortemente irregimentata in regole e consuetudini consumistiche, che le tristi previsioni degli anni ’70 di Pasolini hanno, purtroppo, trovato la loro conferma. Per cambiare il mondo, se ancora è possibile, sarebbe importante cambiare sé stessi, a partire da una maggiore e migliore consapevolezza del proprio io e del proprio ruolo nella società. Se la regola fosse quella che occorre abbandonare, si spera il più tardi possibile, questa Terra lasciando alla Terra stessa più cose di quelle che dalla Terra stessa abbiamo preso, allora forse una speranza ci sarebbe. Credo comunque che sia ormai davvero troppo tardi.

 

D. Nell’album affronti le paure, le debolezze, l’autoindulgenza e, soprattutto, l’autoassoluzione sbrigativa dell’uomo contemporaneo. Quali credi siano le paure maggiori che tutti noi viviamo oggi e quelle debolezze che abbiamo difficoltà ad ammettere?

R. Abbiamo paura di fare scelte autonome e anticonformiste per il timore di essere avvertiti dagli altri come diversi. In un mio pezzo dell’album scrivo che “le pecorelle sembrano lupi quando sono in gregge”. Ma questo è proprio ciò che vuole il Sistema. Dove per Sistema non mi riferisco a concetti piuttosto impalpabili come “Nuovo Ordine Mondiale” o “Deep State”. Mi riferisco a quell’enorme flusso sociale e di (scarsa) coscienza collettiva che, come un fiume, ci spinge tutti nella medesima direzione, senza possibilità di prendere una direzione diversa e contraria.

 

D. Il quadro che fai dell’essere umano di oggi, credi sia dipeso anche da come i social media hanno trasformato il nostro modo di rapportarci e mostrarci agli altri?

R. I social media hanno favorito il concetto di aggregazione collettiva. Attorno ad un’idea, ad un fatto, ad una posizione. Il problema è che, però, queste idee sono quasi sempre frutti sbrigativi della sottocultura, dove per sottocultura intendo la generica informazione che le persone, frettolosamente tanto quanto comodamente, apprendono con sistemi user friendly come Wikipedia. Senza fatica. Senza introspezione. Senza reale comprensione. Ancora una volta, cioè, si fa confusione. Tra informazione (corretta o meno che sia) e cultura, che, come dice il mio amico Roberto Menardo, altro non è se non la somma di tutte le conoscenze del mondo.

 

D. Questo è il tuo quarto album e dato che abbiamo parlato dei cambiamenti della società, ti voglio chiedere: com’è cambiato il mercato discografico rispetto al tuo primo disco?

R. Le regole ora le fa il mercato. I pezzi devono essere brevi, perché lo streaming paga solo per le canzoni ascoltate fino alla fine. Gli album stanno scomparendo, perché alla gente piace ascoltare a spizzichi e bocconi. Soprattutto, e più di tutto, il mercato oggi sfrutta la grande debolezza degli artisti. La vanità. In questo senso, follower, like, visualizzazioni altro non sono se non volgare vanità, che dura il tempo di un battito di ciglia. E che nei musicisti hanno fortissima presa.

Il mercato e le sue regole hanno progressivamente messo nel mirino vari settori, piegandoli alle proprie esigenze. Lo hanno fatto con il commercio al dettaglio. Lo hanno fatto con la musica. Ora hanno deciso di farlo con la ristorazione e con il cinema.

 

D. Era più facile imporsi  prima sul mercato o oggi , dove i social permettono di arrivare ai più velocemente?

R. Il fatto è che a me di arrivare velocemente non interessa. Al punto che ho deciso di non pubblicare digitalmente il mio intero album. Non mi interessa il grande pubblico occasionale che occasionalmente ascolta qualche mia canzone. Mi interessa solo la mia piccola comunità dadaista, con la quale mi confronto, ho un rapporto diretto e biunivoco, e con cui sto bene. Ma non sto dicendo nulla di reazionario. Tutt’altro. A mio parere il futuro è proprio in scelte come la mia. Il futuro non sono i numeri. Sono i nomi.

 

D. Per concludere, questo 2020 ci ha privato di molte cose, fra cui i concerti live, per restare in tema musicale Se dovessi dire un buon proposito per l’anno nuovo, quale sarebbe?

R. Il mio proposito è quello che si trova sul dorso della confezione del mio ultimo disco “Breviario di Teologia Dadaista”, sintetizzabile in 4 “S”: Svegliarsi, Sobillare, Smascherare e (tornare a dormire per) Sognare.

Ascolta "L'omino biscottino"




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I Monterosso: «Con "Darcy e Bennet" volevamo raccontare la nostra storia»

 


Si intitola "Darcy & Bennet”,  il nuovo singolo del duo Monterosso, uscito due giorni fa per  Fade To Music.
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Carlo Manzo: «spesso siamo noi stessi a boicottare la nostra stessa felicità»

 


Carlo Manzo, cantautore ventiquattrenne di Salerno, è tornato lo scorso 30 novembre con un nuovo singolo dal titolo “Stupidi vorrei”. Il brano è un vero e proprio inno contro il vorrei ma non posso e nasce dal bisogno di scrollarsi di dosso quegli stupidi vorrei, che ci impediscono di essere concreti e di passare direttamente all’azione.


“Stupidi vorrei” è prodotto in collaborazione con l’etichetta salernitana Luma Records, fondata da Lucio Auciello e Mario Villani, che definiscono Carlo come un artista dalle grandi capacità di scrittura e interpretative, a cui aggiungo una spiccata sensibilità, come avrete modo di leggere voi stessi nell’intervista che segue.

 

L’intervista

 

D. Carlo, “Stupidi vorrei” è un vero e proprio inno contro il vorrei ma non posso. Una di quelle condizioni che, vuoi o non vuoi, influenzano il nostro percorso di vita. Come nasce la canzone.

R. La canzone nasce verso la fine di luglio, ispirata dalla ritrovata libertà in seguito alla fine del primo lockdown. Mi sono accorto infatti che quando ero chiuso in casa non facevo altro che riempirmi la testa di “stupidi vorrei”, cose che avrei tanto desiderato fare o dire ma che alla fine non ho più realizzato.
Questo mi ha fatto riflettere, spesso siamo noi stessi a boicottare la nostra stessa felicità e, per i motivi più disparati, ci limitiamo solo a stupidi vorrei.


D. Secondo te ci nascondiamo dietro al “vorrei, ma non posso” per timore di sbagliare o perché non siamo mai davvero consapevoli delle nostre capacità?

R. Credo sia un mix inconscio di tanti fattori, sicuramente tra questi c’è il timore di sbagliare, di mettere a nudo le proprie fragilità, tante circostanze che ci impediscono di rischiare e lanciarci oltre l’ostacolo.
Quando succede possiamo solo guardarci dentro e sperare di trovare lo slancio necessario per fare quel passo in più che ci serve per crederein noi stessi.


D. Quando è stata l’ultima volta in cui hai lasciato che i dubbi ti bloccassero?

R. Durante il lockdown ho approfondito la conoscenza di una ragazza stupenda che mi ha colpito nel profondo ma non sono mai riuscito a dichiararmi o ad invitarla ad uscire con me.
Da questo episodio è nato un verso della canzone: “vorrei trovare il coraggio di invitarti questa sera a cena/ ma mi è caduto in un pigiama a Marzo in quarantena”


D. Il brano esce in un momento storico difficile per il mondo dello spettacolo. Live ed eventi sono sospesi e gli artisti devono reinventarsi, anche attraverso i social, per continuare a far veicolare la propria arte. Nel tuo caso, come hai arginato questo stop?

R. Non è stato affatto facile adattarsi alla situazione attuale ma ho cercato di rendere il mio pubblico il più partecipe possibile attraverso dei sondaggi sui social in cui invitavo le persone a scoprire ogni settimana dei nuovi dettagli sul pezzo in uscita. Inoltre in questi giorni,in occasione della pubblicazione del brano, ho intenzione di organizzare parallelamente ad una classica diretta Instagram un incontro su Google Meet per allestire un evento decisamente più partecipativo. Bisogna pur arginare le barriere in qualche modo!


D. Il brano arriva dopo il singolo “La scommessa con me stesso” ma, pur essendo il capitolo successivo a questo brano, presenta delle sonorità differenti che abbracciano l’indie pop dal sapore vintage. Anche questa scelta, se vuoi, è,giusto per usare le tue parole, una bella scommessa con te stesso?

R. Assolutamente sì, questa canzone è stata una vera e propria scommessa sia da un punto di vista di arrangiamento che della scelta stilistica del testo, caratterizzato da un’escalation quasi demenziale man mano che prosegue mirata a sottolineare l’inconsistenza di alcune cose che desideriamo.
Considero questobrano il capitolo successivo de “La scommessa con me stesso” perché mette in luce uno dei tanti motivi che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi e di vincere le nostre scommesse, blaterare su ciò che si vorrebbe fare senza mai passare attivamente all’azione.
Questa soluzione di continuità tra i due brani è sottolineata anche in copertina dove sono presenti diverse analogie grafiche con quella del singolo precedente.



D. E, invece, in maniera generica, qual è stato il patto con te stesso che hai deciso di sfidare, riuscendo a spuntarla?

R. Sicuramente quello di riuscire a portare avanti parallelamente gli studi universitari e quelli musicali nonostante il notevole impiego di risorse che entrambi esigono e meritano.
È una scommessa che si rinnova ogni mattina ma che sono sempre pronto a sfidare e un giorno, finalmente, vincere.


D. Lucio Auciello e Mario Villani, fondatori della Luma Records con cui hai pubblicato i tuoi lavori, parlando di te hanno detto che possiedi capacità di scrittura e grande capacità interpretative. Sono parole che ti riempiano di orgoglio,immagino.

R. Assolutamente sì, sono due figure molto conosciute e apprezzate nel panorama salernitano e regionale per le loro competenze, la loro opinione per me vale molto.
Il loro supporto è stato fondamentale nell’arrangiamento dei miei brani, è certamente merito loro se le mie canzoni suonano molto meglio di come le avevo immaginate io all’inizio.


D. L’ambiente indie permette ad artisti giovani come te di raccontarsi senza filtri e di arrivare al pubblico in maniera diretta. E a proposito del pubblico, c’è stato una frase o un comportamento da parte di un fan che ti ha lusingato e allo stesso tempo ti ha lasciato pensare la tua musica era riuscita ad arrivare agli altri?

R. Questa domanda mi fa venire in mente un’altra canzone che mi sta molto a cuore, “Leggera”.
Scrissi questo brano in seguito ad una conversazione al telefono con una mia cara amica omosessuale che, affranta,mi raccontò diversi episodi spiacevoli che le erano capitati dopo aver fatto coming out.
Quando chiudemmo la chiamata mi accorsi di non essere riuscito a consolarla del tutto e questo mi spinse a scrivere in una sola notte una canzone che le ricordasse di non dar peso alle opinioni delle persone, di vivere la vita a pieni polmoni, di sentirsi leggera.
Il giorno dopo glie la feci sentire, si commosse e mi fece notare un particolare a cui non avevo fatto caso: la canzone in realtà era dedicata a tutte le donne, era un invito a non lasciarsi ingabbiare nei pregiudizi, a lottare per la propria libertà. Alla fine della telefonata scherzosamente aggiunse “Carlè, se l’otto marzo non la pubblichi giuro che ti uccido!”.
La pubblicai, e aveva ragione. Il mio messaggio era arrivato ad un sacco di ragazze e di donne che mi hanno ringraziato anche di persona per aver affrontato con i guanti un argomento così delicato. Non c’è niente di più soddisfacente che arrivare dritti al cuore delle persone. 


D. Mai come adesso “del domani non v’è certezza”, ma dato che questo 2020 sta arrivando al termine, hai già pensato al tuo buon proposito per l’anno nuovo?

R. Questo 2020 purtroppo ci sta lasciando con tanto amaro in bocca e molte cose irrisolte, temo che un solo proposito non basterà.
Sicuramente il mio buon proposito costante è quello di continuare a coltivare il sogno che porto avanti da una vita, scrivere canzoni che fungano da rifugio contro gli ostacoli della quotidianità, che portino un sorriso e spensieratezza a chi le ascolta.

 

D.  Per concludere, di “Stupidi vorrei”, cosa vorresti rimanesse in chi lo ascolta?

R. La volontà di uscire fuori dagli schemi, di sentirsi più forti di tutto nonostante tutto e di lasciarsi ogni tanto andare ad un pizzico di sana follia.

 

Il videoclip di “Stupidi vorrei”

 


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Saverio D'Andrea: «Le piccole conquiste quotidiane ci rendono i supereroi delle nostre storie»

 


È uscito “Superpoteri”, il nuovo singolo di Saverio D’Andrea, tratto dal suo album d’esordio “Anatomia di una colluttazione”, uscito per Isola Tobia Label.  Ad accompagnare il brano il videoclip diretto da Emanuele Torre e girato fra la Sicilia e l’Abruzzo.

Prof di giorno e cantautore di notte, Saverio D’Andrea si avvicina alla musica all’età di 5 anni, con lo studio del violino, e poco dopo nasce l’amore per le parole e la poesia.  Con l’album “Anatomia di una colluttazione” Saverio racconta in dieci episodi momenti diversi di una relazione, partendo da un innamoramento quasi adolescenziale, passando per momenti prima di conflitto e incomprensione e poi di separazione e allontanamento, fino ad arrivare a una fase finale di riflessione sul proprio io.  Superpoteri, infatti, è uno di questi momenti e racconta un amore puro e sincero, nel quale non si ha paura di mostrarsi per quel che si è, ma si cresce e ci si accetta anche nelle proprie fragilità, che diventano anzi un valore aggiunto.


L'intervista

 

D. Saverio, iniziamo da “Superpoteri”, un brano che racconta un amore puro e sincero. Un amore nel quale non si teme di mostrarsi per quello che si è e che allo stesso tempo permette di crescere e accettarsi anche nelle proprie fragilità. Da cosa nasce il testo?

R. Il testo di “Superpoteri” nasce da un momento di sfogo. La scrissi di getto, sentivo come una lava dentro che chiedeva di far esplodere il suo vulcano e con la musica le diedi una via di fuga. Questa lava era la forma dell’urgenza di mettere nero su bianco la mia maniera di amare. “Superpoteri” è, infatti, una specie di documento di identità per il mio cuore, è il manifesto di quello che significa per me amare e imparare a lasciarsi amare. Le parole vennero fuori in maniera molto naturale e libera, come se la canzone esistesse già e io la stessi semplicemente copiando su un foglio. Ricordo che usai la matita perché avvertii da subito che avrei buttato giù tutte le idee con impeto e pensai che ci sarebbero state tante cancellature e correzioni, invece no. Le parole del testo definitivo sono praticamente le parole che scrissi di getto in quel momento. Sentivo il bisogno di parlare di una parte di me troppo a lunga messa in sordina, paradossalmente quella parte che tutti si aspettando che un cantautore metta in vetrina da subito.

 

D. Quando è stata l’ultima volta in cui hai vissuto un amore di questo tipo e cosa ti ha lasciato dentro?

R. Ho vissuto diverse storie d’amore nella mia vita e tutte mi hanno lasciato segni indelebili. Trovo che quello che viviamo ci cambia, mostrandoci sfumature di quello che siamo a cui non eravamo riusciti ad accedere, stando da soli. Ho di sicuro scoperto l’importanza della condivisione, dell’onestà. L’amore mi ha lasciato dentro il desiderio per la costruzione di una strada comune, la celebrazione di quella quotidianità quasi rituale che finisce per rivelare tutti i pregi e i difetti del singolo, che, sul tavolo del due, diventano gli strumenti da lavoro con cui guadagnarsi il futuro.

 

D. Invece, quando è stata l’ultima volta che hai fatto i conti con te stesso e cosa hai capito di te in quel momento?

R. Ti potrei dire che l’ultima volta che ho fatto i conti con me stesso è stata stamattina quando, con un po’ di disorientamento negli occhi, ho dovuto dire a un mio alunno che non lo so quand’è che torneremo a stare in classe, e in generale, in comunità, come facevamo prima. Oppure potrei dirti che è stata quella volta, l’anno scorso, in cui sono andato alla polizia per denunciare il furto della mia automobile che, alla fine, è venuto fuori fosse stata praticamente rubata dal proprietario! Ero convinto di aver parcheggiato l’auto in un punto diverso da dove l’avevo davvero fatto e dopo ore di ricerche mi sono rassegnato all’idea che l’avessero rubata. Con i miei amici ci abbiamo riso per settimane, è un esempio scemo e quello era un periodo particolarmente pesante però a volte davvero ci sarebbe bisogno di fermarci per misurare quello che siamo davvero in grado di fare con quello che stiamo pretendendo da noi stessi. Facciamo questi conti in un modo o nell’altro tutti i giorni, l’importante, secondo me, per ognuno di noi, è imparare a conoscere i propri limiti, cercando di analizzare quello che ci succede per provare a migliorarci sempre. Quantomeno questo è quello che capita sempre a me.

 


D.
Come appare anche nel videoclip diretto da Emanuele Torre, nel brano il fuoco e la neve, che citi più volte nel testo, simboleggiano le avversità che si superano tramite l’amore. Quali credi siano le difficoltà che una coppia vive oggi giorno e come li possono superare?

R. La vita ci mette alla prova sempre. C’è un sacco di fuoco e un sacco di neve che dobbiamo attraversare di giorno in giorno. La vita di coppia, così come la vita familiare o le relazioni tra esseri umani in generale sono ormai dei campi minati. Sicuramente è una grande sfida riuscire a restare attaccato ai propri sogni e alla propria individualità, pur alimentando il fuoco di quell’amore che si vive in coppia. Superpoteri” parla di questo e di quanto, secondo me, in una relazione sia fondamentale riuscire ad evolversi individualmente pur restando insieme, insistendo nel voler trovare delle soluzioni piuttosto che delle scuse.

 

D. Quindi, i superpoteri del titolo sono proprio la tenacia e la volontà con cui si porta avanti una storia, giusto?

R. Sì, è così. Le piccole conquiste quotidiane, intime e silenziose, ci rendono dei supereroi nelle trame delle nostre storie. Accettare le debolezze, farne tesoro provando a trarre il buono anche dai fallimenti ci rende capaci di amare secondo me, ed è qualcosa di cui non c’è motivo di avere paura.

D. I social sono stati fondamentali per il lancio di questo ultimo singolo. Che rapporto hai con questi canali? Ti piace raccontarti al cento per cento o preferisci mantenere alcuni aspetti soltanto per te?

R. Sto scoprendo le possibilità che offrono i social media soltanto adesso. Per tanto tempo, forse troppo, ho tenuto tutto per me. Pian piano, invece, mi sto dando modo di lasciarmi conoscere attraverso i social media condividendo riflessioni, fotografie e piccole iniziative legate all’arte. Il lancio di “Superpoteri”, per esempio, è stato caratterizzato da una campagna social particolare dedicata alla poesia. Sentivo il bisogno di fare il conto alla rovescia per l’uscita del videoclip senza però parlare troppo di me, della canzone o del video. Cercavo un’idea che mi desse la possibilità di aprire un ponte su altre forme d’arte canalizzando, soltanto alla fine, l’attenzione su di me. Ho quindi pensato di chiedere a quindici tra i miei più cari amici, di scegliere una poesia pensando a Superpoteri. Sono state scelte poesie bellissime di autori diversi, da Stefano Benni ad Alessandro Bergonzoni, passando per Hermann Hesse, Franco Arminio, Pedro Salinas, Wislawa Szymborska fino a Dante Alighieri. Ogni giorno abbiamo pubblicato una poesia, associandola ogni volta ad una foto fatta durante le riprese del videoclip e con essa il numero dei giorni che mancavano alla pubblicazione. È stato un modo per aspettare un contenuto artistico promuovendo la bellezza di un’altra forma d’arte, sottolineando la loro vicinanza. Per me è stato quasi un gioco, mi sono divertito e commosso e, a dirti la verità, ci avevo preso talmente gusto che il 14 novembre è stato brutto non avere nessuna poesia da pubblicare. Ho quindi raccolto tutte lepoesie in un album su Facebook, così da lasciarle in qualche modo disponibili per chi volesse ripercorrere l’intero viaggio dal primo all’ultimo passo.

 


D.
Questo singolo è l’ultimo brano estratto da “Anatomia di una colluttazione”, il tuo album d’esordio. Che valore ha questo primo traguardo nella tua vita?

R. Ho aspettato il momento della pubblicazione del mio primo disco praticamente per tutta la vita. Ho iniziato a scrivere canzoni che ero alle scuole elementari, poco dopo ho iniziato a consumare musica e ad acquistare dischi. Non ho mai smesso di fare nessuna di queste cose (neanche essere a scuola!). Ho vissuto quindi l’uscita del mio disco d’esordio come un gigantesco regalo che sono riuscito a fare a quel bambino sognatore che copiava e traduceva i testi delle canzoni che amava, che registrava sul suo walkman malandato le melodie che gli passavano per la testa, che disegnava e che immaginava di esibirsi davanti a centinaia di spettatori. Ho vissuto questo traguardo così importante come una sorta di restituzione a quel cuore pieno di sogni, una medaglia all’ardore. È esattamente come lo sognavo e ogni giorno spero davvero riesca ad arrivare al cuore delle persone che si lasciano invitare in questa giostra. Ne approfitto per ricordare a chi ci legge che il mio disco è disponibile su tutti i digitalstores e si può ricevere, in copia fisica, direttamente a casa acquistandolo sul sito di Isola Tobia Label.

 

D. Mi spieghi da cosa nasce il titolo? Ti confesso, che mi incuriosisce tanto.

R. “Anatomia di una colluttazione” racconta una storia d’amore, dall’inizio alla fine, sviscerata attraverso riflessioni, idee, ricordi e desideri. Le canzoni sono messe in un ordine preciso per raccontare i fatti dal primo all’ultimo momento, dalla prima alla nona traccia si susseguono le varie fasi. Il decimo pezzo, che chiude il disco, è invece lontano da quanto successo e riporta delle riflessioni fatte in solitudine, l’interlocutore non è più l’altro, infatti, ma me stesso. La parola anatomia si riferisce all’intenzione di analizzare, nel dettaglio, tutto ciò che è successo per cercare di comprendere le ragioni e gli incastri che hanno portato le cose ad accadere secondo un determinato schema. La parola colluttazione, invece, si riferisce proprio all’oggetto di questo studio così minuzioso, cioè a quell’incontro/scontro con l’altro che, infine, si rivela per essere in primis un incontro/scontro con noi stessi.

 

D. Il periodo storico che stiamo vivendo non è dei migliori, a causa del coronavirus. Il settore musicale, assieme a quello dello spettacolo ingenerale, sta subendo le conseguenze maggiori dei vari decreti anti-covid. Come stai vivendo lo stop dei live, che per un giovane artista come te, sono parte fondamentale della propria crescita professionale?

R. Credo che questo 2020 abbia fatto fare esperienza, a ognuno di noi, di tutte le emozioni esistenti. Dalla rabbia, al senso di rivalsa, dalla tristezza alla voglia di industriarsi per trovare nuove strade per esprimersi, tutti noi abbiamo attraversato e stiamo attraversando una fase molto delicata e nuova. Quello che secondo me è molto importante è non dimenticare che proprio in un momento come questo è necessario fare rete, diffondere bellezza, promuovere arte e pubblicare. Non è vero che non ha senso dar vita a nuovi contenuti artistici in questo momento, anzi, secondo me è davvero necessario che la cultura resista in tutti i modi, non solo per sopravvivere ma per esistere com’è giusto che sia. Il ritornello di Superpoteri finisce con le due parole resistere insieme ed è quello che a parer mio siamo chiamati tutti a fare in questo momento.

 

D. Per concludere, quale sensazione speri arrivi a chi ascolta “Superpoteri”?

R. “Superpoteri” è forse quella che può essere considerata la mia prima vera canzone d’amore. Quando la scrissi, come ti dicevo prima, sentivo il bisogno di staccarmi da tutto quello che avevo intorno per immergermi in un’emozione forte che stavo vivendo e che aveva urgenza di essere tradotta in forma canzone. Fu un momento molto particolare, come una sorta di catarsi dell’anima. Immagino che quella sensazione di distacco dal terreno per sollevarsi in una dimensione sensoriale intensa abbia inevitabilmente toccato la canzone per com’è cantata e per com’è suonata. Ecco, spero che arrivi questa sensazione di distacco da tutto ciò che ci circonda e ci fa sentire soffocati, spero che questa canzone faccia sentire le persone che la ascoltano come fa sentire me: sospeso in uno spazio incontaminato, nel vuoto di un’emozione pura e forte.


Il videoclip di "Superpoteri"



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